I ballottaggi confermano ciò che si era intuito nel primo turno delle elezioni amministrative: il centrosinistra è in ripresa di consensi. Dopo Milano, Napoli, Bologna, conquista Roma, Torino e altre città. Inquietante è il numero degli astenuti che supera la metà degli aventi diritto (nella capitale si è recato alle urne solo il 40%). È squinternata perciò la partecipazione democratica, e c’è un problema della democrazia tout court: non si è mai votato così poco nella storia repubblicana. I risultati nelle percentuali oltrepassano, tuttavia, le più rosee previsioni per il centrosinistra. Giusto, da tale punto di vista, tirare il classico sospiro di sollievo.
Il quadro politico in cui si svolgevano queste consultazioni non era facile. La polemica sul green pass è stata, ed è tuttora, feroce. La destra ci aggiungeva una criticità sul governo Draghi, mentre il centrosinistra (Pd in testa) si identificava totalmente con l’esecutivo. La destra – oltre a sbagliare candidati – ha usato toni nella campagna elettorale non adeguati a città che escono da due anni di sofferenze per via della pandemia, e che auspicano ora la tenuta della ripresa economica in atto.
Giorgia Meloni risulta ammaccata e ridimensionata dalle urne (Enrico Michetti a Roma è stato scelto dalla leader di Fratelli d’Italia). La conflittualità concorrenziale per la leadership tra Salvini e Meloni non ha pagato. A Torino, perde anche il candidato di Giancarlo Giorgetti, esponente dell’ala governista della Lega. E a Varese – dov’è nata la Lega dell’epoca di Umberto Bossi – viene confermato il sindaco uscente di centrosinistra. A Savona, storica città di sinistra, il centrosinistra riconquista il primo cittadino che aveva perso cinque anni fa. E vince finanche a Latina, città che tradizionalmente guarda a destra. Come pure a Cosenza, nella Calabria che ha scelto la destra solo due settimane fa, oltre a Caserta, Salerno, Isernia, Ravenna, Rimini.
Si riapre, dunque, la partita tra centrodestra e centrosinistra? Senz’altro sì. La destra, che prende una batosta, resta forte, prima nei sondaggi per le elezioni politiche e prima tra coloro che non hanno votato (così dicono gli studiosi di flussi elettorali). Le differenze politiche tra il “centrista” Silvio Berlusconi e i suoi alleati sono inoltre un ostacolo, in prospettiva, per il centrodestra di governo, che costringerà forse a correggere il baricentro della propria politica in direzione europeista e moderata.
Le oscillazioni estremiste di Meloni e Salvini non hanno avuto presa sugli elettori bisognosi di rassicurazioni e non di sparate antieuropee o anti green pass. Come effetto di questa sconfitta elettorale cade nell’immediato, a destra, l’ipotesi di portare Mario Draghi al Quirinale e di andare subito dopo alle elezioni. È probabile che il governo duri fino alla fine della legislatura, come ha dichiarato, galvanizzato dai risultati elettorali, Enrico Letta. La contraddizione immediata – la classica patata bollente o il classico cerino – è nelle mani di Salvini che del governo fa parte.
Ben altre questioni sono aperte nel centrosinistra. Il Pd si conferma forte polo d’attrazione come contraltare (inerziale?) alla destra. Quasi scompaiono i 5 Stelle e i suoi elettori nelle amministrative, che in controtendenza conservano il 15% nei sondaggi nazionali. Occorrerà capire meglio cosa accade in quell’area. I primi commenti e le prime analisi parlano di pochi pentastellati che sono andati a votare i candidati del centrosinistra a Roma e a Torino, città governate negli ultimi anni da due sindache dei 5 Stelle. Nella capitale, gli elettori di Carlo Calenda al primo turno hanno invece scelto a stragrande maggioranza Roberto Gualtieri, come indicato dal loro leader. Silenzio rumoroso sulle indicazioni di voto da parte di Virginia Raggi, non corretta a pieno dalle dichiarazioni filo-centrosinistra di Giuseppe Conte.
L’area del campo possibile del nuovo centrosinistra sembra di conseguenza avere una gamba molto fragile nei 5 Stelle nuova versione, come del resto nella sinistra di Nicola Fratoianni e Pier Luigi Bersani. Non sta molto meglio il centro di Calenda e Renzi. Letta continua a parlare di “coalizione larga” e “unità del Pd” come condizioni della vittoria. Intanto, lancia le “Agorà democratiche” come luoghi in cui ridefinire alleanze e programmi. Come “osservatori indipendenti” di questo percorso sono stati scelti lo scrittore Gianrico Carofiglio, Andrea Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio), Annamaria Furlan (ex segretaria della Cisl), Monica Frassoni (dei Verdi europei), Carlo Cottarelli (noto economista) ed Elly Schlein (vicepresidente della Regione Emilia-Romagna e promotrice della lista Coraggiosa). È il coerente tentativo di allargare il campo del centrosinistra, o si tratta – come auspicano Bersani e Massimo D’Alema – di superare il modello di partito rappresentato dal Pd per un altro “aperto” e confederale? Letta e il Pd sono sicuramente rafforzati dall’esito elettorale e, chissà, poco disposti a cambiare.
Se le cose stanno un po’ così, i due blocchi contrapposti sono chiamati a ridefinirsi socialmente e politicamente (ed entrambi saranno attirati dalle sirene del “centro”). Molto di ciò che accadrà dipenderà dalla nuova legge elettorale, se favorirà la competizione proporzionale o bipolare. Sciogliere il rebus potrebbe tornare all’ordine del giorno molto presto.