I fatti di Roma e l’assalto alla sede della Cgil hanno rimesso al centro dell’opinione pubblica l’annosa questione della reviviscenza del fascismo in Italia. Se l’attenzione è oggi concentrata su di alcune organizzazioni le cui sigle affollano i giornali, e di cui si chiede lo scioglimento, esiste però un humus più complesso e profondo, in cui le strutture organizzate assurte all’onore della cronaca odierna affondano le radici.
La cosa non deve sorprendere: il fascismo non è affatto una ideologia consegnata alla storia, un pezzo tragico di Novecento da dimenticare, ma mostra una nuova vitalità non solo nel nostro paese. Basti pensare all’attacco a Capitol Hill che, pur nei suoi tratti grotteschi, rappresenta una testimonianza del riaffiorare di un “fascismo nuovo” negli Stati Uniti, in cui si mescolano confusamente elementi del vecchio fascismo storico e nuove componenti: cospirazionismo New Age, suprematismo bianco, anarco-conservatorismo. Il discorso, con importanti differenze, vale anche per l’Europa, in particolare per l’Italia, come ha mostrato un recente libro dell’antropologa tedesca Lene Faust, intitolato Neofaschismus in Italien, frutto di una ricerca sul campo durata diversi anni, che ha avuto il suo focus su Roma.
Per l’autrice esiste una continuità intergenerazionale del fascismo che non si è mai interrotta dal dopoguerra a oggi. Una sottocultura politica che è stata conservata come identità familiare e locale attraverso almeno tre generazioni. A partire da quella dei “veterani” postbellici, passando per i militanti dell’estrema destra degli anni Settanta, fino alla generazione attuale. Criptomondi politici che si sono mostrati in grado di coltivare faziose memorie di parte, sature di vittimismo e di ammirazione per gli “eroi” sconfitti nel 1943, sopravvivendo a qualunque tentativo di “storicizzazione”, e capaci, al tempo stesso, di sorprendenti mimetismi e ramificazioni.
I network descritti nel libro ci parlano di ambienti neofascisti molto più diffusi di quanto non si penserebbe, e tutt’altro che residuali e nostalgici. Persone, gruppi, movimenti e partiti che pensano e agiscono politicamente a partire da una – forse supposta, forse immaginaria, ma in ogni caso dichiarata e rivendicata – continuità con quello che si è chiamato e si chiama “fascismo”. Al di là dei suoi limiti – ravvisabili in una certa “esternità” dello sguardo della giovane ricercatrice, che non ha conosciuto la temperie politica degli anni Novanta e il revisionismo storico, in buona parte responsabili di questa mancanza di cesure –, il libro della Faust pone la questione della necessità di considerare il fascismo sotto il profilo della identità socioculturale, di provare a comprendere quali sono i motivi del suo perdurare e riproporsi nel nostro Paese. Tanto più in quanto questo background, fatto di un cocktail di elementi del fascismo vecchio e di quello nuovo, lo si ritrova anche in culture politiche che non proclamano apertamente la loro adesione ufficiale all’eredità del ventennio. Esiste infatti un “fascismo grigio”, come titola un altro bel libro recente, quello di Claudio Vercelli (pubblicato da Einaudi), in cui viene mostrato qualcosa di molto simile a quanto individuato dalla Faust, una capacità delle componenti prima descritte di riconfigurarsi all’interno di un sistema politico democratico e in un mutato contesto storico. Perché “grigio”? Lo spiega l’autore: il fascismo contemporaneo ha caratteristiche mutevoli, si presenta in forme camaleontiche, presenta tutta una serie di sfumature e gradazioni, adattandosi dal nero al grigio.
Difficile non concordare con questa riflessione; basterebbe pensare a quanti elementi riconducibili a essa siano presenti nella composita ideologia della Lega, in maniera dichiarata, come quando Mario Borghezio esterna sulla “terza Lega”, e in maniera meno evidente quando nelle file del partito vengono eletti amministratori locali con simpatie politiche quantomeno discutibili… Un fascismo nuovo, plastico e opportunista, che si alimenta anche del risentimento dei “posti che non contano”, si abbevera nelle periferie sconfitte e dimenticate.
Ancora Vercelli parla di una realtà che salda insieme “xenofobia, avversione per il meticciato, nazionalismo di ritorno, rigetto della democrazia rappresentativa, elogio del movimentismo di piazza e della presenza popolare come esercizio di una protesta senza fine, richiesta di garanzie securitarie”. Tutti veleni che si generano sullo sfondo di una più ampia erosione dei diritti. Ci troviamo dunque in un campo che è assai diverso da quello in cui sorse il fascismo storico, la cui continuità con il “fascismo grigio” appare a tratti più di maniera che sostanziale, anche se non va certo sottovalutata la pericolosità di un radicalismo che si presenta quale soluzione a problemi presentati come non risolvibili con gli strumenti della democrazia. Una terribile semplificazione che propone una concezione dei rapporti sociali fondata sulla forza, sulla gerarchia e sulla identità nazionale come risoluzione dei complessi nodi del presente.
Al cuore della diffusione del “fascismo grigio” appare dunque essere lo scacco in cui versano le democrazie liberali, il tramonto della promessa di eguaglianza e giustizia sociale che era il motore delle società welfariane. In un orizzonte storico segnato dalla tendenziale restrizione dei diritti, dall’affermarsi di disuguaglianze e divisioni sociali e spaziali sempre più nette, il nuovo fascismo si presenta come un’alternativa radicale, che ha in comune con il vecchio la concezione organica, e produce una narrazione in cui si annodano confusamente rivendicazioni e aspirazioni di riscatto di soggetti che, a diverso titolo, si ritengono “oppressi”. Un mondo variegato, dunque, unificato dal mito di una omogeneità etnica e culturale, e dal vagheggiamento di un ritorno a primati nazionali e a sovranità protettive.
Naturalmente tutto questo va di pari passo con la negazione dei processi di integrazione europea e dei diritti dei migranti. Non è dunque unicamente con lo scioglimento delle organizzazioni “ufficiali” della estrema destra che si potrà arginarne la diffusione, quanto piuttosto con una politica militante in grado di dare risposte organizzate e di fornire alternative, anche simboliche. Tutte le sfumature di colore che vanno dal grigio al nero si cancellano solo con la penna rossa…