Con questo striscione, il 14 maggio scorso, eravamo a manifestare sotto al ministero dello Sviluppo economico, rivendicando una vera svolta dal punto di vista occupazionale, industriale e ambientale per la ormai decennale vertenza irrisolta dello stabilimento siderurgico tarantino. In quell’incontro il ministro Giorgetti preannunciò l’imminente presentazione del nuovo piano industriale, frutto anche del previsto ingresso di Invitalia, e quindi dello Stato nel capitale sociale. Siamo a fine settembre e nulla è accaduto, nonostante il nuovo consiglio di amministrazione si sia insediato eleggendo presidente della holding Bernabè.
Il tempo passa inesorabilmente e le sofferenze per i lavoratori (cassa integrazione infinita per circa tremila lavoratori su 8200 diretti) continuano senza una valida prospettiva. È di un’evidenza palmare il latente conflitto tra la parte statale della società e la parte privata (ArcelorMittal) nel progettare e voler finanziare i progetti per la svolta “green”, dando inizio finalmente alla transizione ecologica: da un lato Invitalia pare si voglia affidare al gruppo “Leonardo, Danieli, Saipem”, dall’altro Arcelor ha stretto preaccordi con “Fincantieri e Paul Wurth”.
Stante la strategicità della produzione dell’acciaio, per una nazione che voglia continuare a definirsi industrializzata, è arrivata l’ora che il governo acceleri sulla presentazione del nuovo piano industriale, o completando in anticipo l’ingresso nel capitale sociale in maggioranza (previsto a giugno 2022), oppure iniziando e concordando da subito l’avvio degli investimenti veri.
Due certezze risultano non più rinviabili. L’attuale stabilimento col ciclo integrale e con questo tipo di impianti – ancor più in assenza di massicce dosi di manutenzioni straordinarie, ma anche ordinarie – non è più sostenibile: quindi bisogna svoltare quanto prima almeno sul sistema ibrido (altiforni attuali e forno e/o forni elettrici), in attesa dell’arrivo tra chissà quanti anni dell’idrogeno; il tutto affiancato dalla Valutazione preventiva del danno sanitario – come da linee guida Viias (Valutazione integrata dell’impatto ambientale e sanitario) –, perché è giunto il momento di affidarci a dati certificati e conoscere prima sin dove è possibile produrre senza far danno alla salute, in primis quella dei lavoratori che entrano ogni giorno nello stabilimento, e dei cittadini che vivono a ridosso dello stesso.
Il prezzo della transizione ecologica non può essere pagato dai lavoratori, dal punto di vista dell’occupazione e del salario, ed è quindi necessario che si mettano in atto tutti gli accorgimenti necessari per tutelare gli stessi lavoratori. I diretti in Acciaieria d’Italia a oggi sono 8200, mentre nelle ditte dell’appalto e dell’indotto trovano occupazione altri quattromila dipendenti circa.
*Segretario Fiom-Cgil di Taranto