
La tornata elettorale in Germania si conclude con un sicuro vinto: i conservatori della Cdu-Csu che, nonostante un recupero di qualche punto in extremis, escono con il 24,1% come secondo partito dopo la Spd, attestata al 25,7%. La distanza tra le due formazioni politiche, di meno di due punti in percentuale, non è grandissima, tanto da far pensare che gli stessi perdenti potrebbero teoricamente esprimere un cancelliere nel caso si formasse una coalizione ad hoc, dato che anche il secondo nei suffragi può sondare gli altri partiti per verificare se raggiunge un numero di consensi sufficiente per il cancellierato. L’ipotesi però appare remota.
Il gioco, infatti, ora è a quattro: la buona affermazione dei verdi, giunti quasi al 15%, e la tenuta dei liberali, solidamente ancorati all’11%, li fa diventare elementi indispensabili nella formazione del nuovo governo, che potrebbe essere frutto di una coalizione ampia. La sconfitta della Cdu-Csu è pesante, non solo per il rilevante calo percentuale rispetto ai risultati del 2017 (di quasi nove punti), ma per la crisi che si apre nel partito. E non si tratta solo della problematica successione a una figura importante come quella di Angela Merkel. Le difficoltà interne erano emerse già con evidenza nel momento della scelta del candidato. Il mediocre Armin Laschet aveva avuto la meglio su Markus Söder, anima dei cristiano-sociali bavaresi, per oscure alchimie politiche che la base non aveva gradito. E certo è un monito che i socialdemocratici abbiano vinto nel collegio elettorale di Merkel, approfittando di questa crisi interna dei rivali storici. Proprio Söder, dopo aver criticato pesantemente la sonnolenta campagna elettorale condotta da Laschet in “vagone letto”, si è scagliato contro Olaf Scholz, apostrofandolo come un “ladro di eredità” nel senso che si sarebbe appropriato di un lascito simbolico merkeliano che sarebbe spettato invece alla Cdu-Csu.
Per contro, Scholz ha esaltato il ruolo che il suo partito ha avuto nel conquistare la vittoria, sottolineando la crescita del numero degli iscritti e le nuove strutture interne che la Spd si sta dando. Scholz è apparso molto determinato e sicuro di sé, e ha cercato in ogni modo di mostrarsi come un riferimento sicuro. Anche il leader liberale Christian Lindner ha sottolineato l’importanza che il suo partito va a rivestire, e ha insistito sul fatto che si apre una “rottura storica” rispetto al passato. Mentre per un verso la dirigenza dei verdi è apparsa relativamente soddisfatta del risultato positivo ottenuto, per l’altro ha dovuto riconoscere che le ambizioni erano molto più alte e che si riponevano speranze in un esito elettorale più consistente. Pare, inoltre, che verdi e liberali giocheranno la partita delle coalizioni insieme, proponendosi come una sorta di “terzo polo” rispetto ai due partiti maggioritari. Certo non sarà facile per loro trovare una linea di accordo, dato che i liberali vogliono evitare l’introduzione di nuove tasse e propugnano un ecologismo soft demandato principalmente alla buona volontà degli imprenditori, in netto contrasto con le posizioni dei verdi sostenitori di una tassa per la transizione ecologica e di una svolta ambientalista radicale.
Esce quasi di scena la Linke che comunque, pur rimanendo sia pure di poco sotto lo sbarramento elettorale del 5%, avrà dei rappresentanti in parlamento avendo vinto in tre collegi. Soprattutto si ridimensiona l’estrema destra dell’AfD, che consolida le sue posizioni principalmente nei Länder dell’est. Altro dato interessante, che emerge da una prima analisi del voto, è una polarizzazione per età dell’elettorato: alla Spd va soprattutto il voto dell’elettorato “maturo”, tra i 45 e i 65 anni, mentre i giovani hanno votato prevalentemente verde.
Allo stato attuale delle cose, il gioco delle coalizioni sarà quindi decisivo per l’individuazione non solo del nuovo cancelliere, ma anche per la definizione di un dettagliato programma di governo. Si prepara, quindi, una stagione di trattative, e si aprono i tavoli per la Elefantenrunde, cioè per le conversazioni degli esponenti “di peso” dei vari partiti, da cui dovrebbe uscire l’accordo. Si profila un periodo d’interregno che potrebbe essere abbastanza lungo, viste le distanze tra i vari partiti in termini di politica industriale, di ambiente e di politica fiscale; forse la Merkel “mangerà il panettone”, come aveva intravisto con facile profezia la scorsa settimana un dirigente berlinese della Linke.
Nel complesso, la fine del merkelismo si affaccia su un’epoca di grande incertezza. Il clima politico – non solo in Germania ma in tutta Europa – sta cambiando anche come conseguenza della pandemia e degli effetti della crisi ambientale. La complessa successione a Merkel, cadendo in un periodo così critico, schiude una serie di interrogativi non circoscritti alla politica tedesca. Le oscillazioni della situazione in Germania rischiano di ripercuotersi sull’intera Europa, basti pensare a come tutto un insieme di relazioni faticosamente costruite in seno all’Unione sia rimesso in discussione o si dissolva per via dell’uscita dal campo della cancelliera. La stessa presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, si ritrova in una posizione oggettivamente indebolita, anche per la mancanza di una figura forte di riferimento nella successione.
Insomma, dopo Merkel, per ora non c’è il diluvio, ma sicuramente il cielo sulla Germania appare quanto mai nuvoloso, per non parlare della condizione in cui vengono a trovarsi i delicati equilibri europei, in buona parte da ricostruire.