Dopo molto tempo, tira aria positiva e non scettica per i referendum come strumenti di azione politica. E allora ci provano pure i nemici del green pass. L’obiettivo è raccogliere le cinquecentomila firme che farebbero quorum intorno a precisi quesiti entro ottobre, così da far svolgere l’eventuale referendum nella primavera 2022. Il compito è favorito dalle nuove norme che legittimano le firme digitali, oltre quelle raccolte nei tradizionali “banchetti”. Sarebbe poi la Corte costituzionale a esprimersi sulla legittimità dei quesiti, come del resto avverrà su quelli riguardanti giustizia, fine vita, legalizzazione della cannabis, abolizione della caccia che hanno già superato alla grande il numero di firme richiesto.
La campagna d’opinione “no green pass” rischia così di surriscaldare inutilmente le polemiche. È infatti possibile (e augurabile) che nella prossima primavera la pandemia proceda con contagi minimi e che non ci siano all’orizzonte altre soluzioni per arrestarla se non quella di vaccinarsi periodicamente. Il “no” al green pass ha inoltre poche motivazioni plausibili, con il paradosso che si preferirebbe l’obbligo vaccinale per legge invece di una misura di cautela collettiva per tutti i luoghi di lavoro e di intrattenimento.
I timori per un uso eccessivo della categoria di “emergenza” in politica (Massimo Cacciari, Giorgio Agamben e altri) sono legittimi e vanno discussi, ma scagliarsi contro il green pass non favorisce il confronto. Un certificato che garantisce un po’ se stessi e gli altri, pur non al cento per cento, non è un provvedimento liberticida.
Il taglio del nastro che avvia la raccolta delle firme è stato dato, con un annuncio, dall’avvocato Olga Milanese del Foro di Salerno, che con Luca Marini, docente di diritto internazionale alla Sapienza di Roma, già vicepresidente del comitato nazionale per la bioetica, e Francesco Benozzo, docente di Filologia romanza all’Università di Bologna, presiede il comitato promotore. Del comitato dei garanti fanno invece parte Paolo Sceusa, presidente emerito di sezione della Corte di cassazione e fondatore della Scuola superiore di diritto e protezione dei minori, Ugo Mattei, docente di diritto civile all’Università di Torino, Carlo Freccero giornalista, già consigliere di amministrazione della Rai, Alberto Contri, presidente della Fondazione pubblicità progresso. Nomi molto deboli politicamente e culturalmente, quindi una falsa partenza. Ma bisognerà attendere e vedere se l’iniziativa referendaria raccoglierà adesioni “pesanti”, o addirittura quella di Fratelli d’Italia o di altre componenti politiche di rilievo. L’obiettivo delle cinquecentomila firme è del resto raggiungibile facilmente, dato il clima di contrapposizioni che si è creato e l’ausilio delle firme digitali.
Presa di posizione soft da parte di Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario del governo per l’emergenza sanitaria: “Tutti gli strumenti di democrazia, quando vengono adottati, vanno bene. Io sono per adottare la Costituzione e la democrazia. Poi decideranno i cittadini sulla base delle loro scelte”. Nessun altro commento da parte dell’esecutivo, che per ora ignora l’iniziativa.
Stefano Ceccanti, deputato Pd, noto costituzionalista, preferisce saggiamente proporre di portare a ottocentomila il quorum delle firme necessarie per cercare di indire un referendum (si parla inutilmente da molti anni di una riforma di questo strumento democratico).
Sul sito internet dei referendari si cerca di spiegare le proprie motivazioni: “I cittadini italiani hanno gradualmente preso coscienza del fatto che il green pass costituisce un palese strumento di discriminazione che collide con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, considerati intangibili dalla Costituzione repubblicana”. Di conseguenza, il green pass escluderebbe “dalla vita economica e sociale della nazione quei cittadini che sostengono convinzioni ed evidenze diverse da quelle imposte dal governo”.Per questo, la normativa che istituisce il green pass si porrebbe in netto contrasto con l’articolo 3 della Costituzione. I pro-referendum tirano in ballo finanche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 per ricordare che “a ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. Da qui l’appello finale: “Di fronte a violazioni così gravi ed evidenti dello stato di diritto, come quelle introdotte e avallate dalle stesse istituzioni mediante il green pass, è il popolo che deve farsi garante della Costituzione e rendersi parte attiva per ripristinare i principi di uguaglianza e di parità tra cittadini su cui si fonda la nostra civiltà giuridica”. I quesiti sui quali è partita la raccolta di firme sono quattro, e riguardano l’abolizione dei decreti legge che normano i green pass. I toni della campagna appena avviata dipingono una situazione simile al Cile del generale Pinochet conditi dal tradizionale populismo.
Tra i pochi nomi di rilievo dei promotori, spicca isolato quello di Freccero che in una lettera alla Stampa ha argomentato le sue ragioni: “Il mio ruolo è quello di esperto della comunicazione e, in quanto tale, non ho potuto fare a meno di rilevare la massiccia campagna di propaganda e disinformazione condotta dai media mainstream con un’unanimità che non ha precedenti nella storia del paese”.
Vedremo cosa accadrà. Forse il quorum delle firme verrà raggiunto sull’onda di “no vax” e altro, ma che il referendum si tenga – secondo molti costituzionalisti data la fasulla contrapposizione tra libertà e tutela della salute individuale e collettiva – è assai improbabile.