E adesso che siamo arrivati alla stretta, al governo che ha deciso il green pass obbligatorio praticamente per tutto, nel pubblico e nel privato, come reagirà il fronte negazionista dei “no vax” e “no pass”? Riuscirà ad alzare il tiro, come temono alcuni analisti che scrutano gli umori degli studenti e della galassia delle varie sigle sindacali? O verrà confermata la tendenza all’effervescenza nella rete, ma a un prosciugamento della partecipazione nelle proteste di piazza?
Oggi i “guerrieri” ricordano i nipotini dei quarantamila che scesero in piazza a Torino, nell’ottobre del 1980. Sono molto più aggressivi dei “nonni” di allora. Però hanno in comune con loro l’estrazione piccolo-borghese, impiegatizia, quella dei commercianti e delle partite Iva. Mastica meno politica dei “nonni”, questa moderna Vandea che ha avuto voglia di sporcarsi le mani, di scendere in piazza per combattere contro la scienza, le regole, il valore di essere comunità. E soprattutto contro il governo. Nel 1980, con una sola manifestazione, la “maggioranza silenziosa” spazzò via le lotte operaie e sindacali, dando per la prima volta rappresentanza politica a quella media borghesia che fu utilizzata come una clava per stabilizzare un Paese scosso dalle lotte sociali e dalla violenza politica.
E oggi? Gli investigatori sono convinti che quello che si muove sulla rete e la pattuglia di manifestanti nelle piazze “è l’aggregazione di imprenditori di piccole e medie imprese in difficoltà, con movimenti negazionisti, nell’aspra critica verso Palazzo Chigi”. Non ci sarebbe “una regia strutturata di carattere politico”. Nelle prime manifestazioni dell’aprile scorso, a Roma, era attiva una sigla, “Io apro”, che univa ristoratori, commercianti, addetti ai settori ricettivi e sportivi. Contaminarono il movimento anche gli aderenti alle associazioni delle partite Iva e di Italexit.
L’estrema destra provò a prendere la testa delle proteste, ma non riuscì a egemonizzare il popolo urlante, al quale si unirono anche frange degli ultras. Soprattutto a Roma. Non hanno una cultura politica ma gridano al complotto, azzardano improponibili analogie tra le politiche del governo Draghi e le pratiche naziste (”No Greenstapo”). E hanno portato a casa numeri significativi, quest’estate, nelle manifestazioni di protesta a Roma, Milano, Torino. Ma alla fine di agosto hanno cominciato a mutare pelle, diventando dei provocatori, degli “estorsori” dei diritti e dei doveri di giornalisti, degli uomini delle istituzioni.
Nella loro agenda delle cose da fare – “Basta dittatura”, un blog che vive su Telegram – scrivono: “Preparazioni indirizzi case delle merde criminali”. E cioè: i giornalisti che “asseritamente sono asserviti a logiche di marketing delle lobbies farmaceutiche e funzionali a legittimare le scelte di governo”, e anche uomini delle istituzioni e personalità politiche.
Sulla rete, si sa, saltano i freni inibitori. A Vicenza una frequentatrice del web invitava a bloccare la stazione ferroviaria. Cadde dalle nuvole quando si vide arrivare a casa gli investigatori. Gli odiatori non si rendono conto che, minacciando aggressioni o proteste radicali, istigano a commettere reati. E sono anche sprovveduti quando annunciano, a pochi giorni dalla manifestazione alla quale parteciperanno, che porteranno con sé “la pistola”. Sono convinti che le parole e le farneticazioni pronunciate in libertà non potranno condurre all’autore. Insomma sono convinti di godere dell’impunità perché non possono essere rintracciabili.
Prima una giornalista di “RaiNews 24” poi uno di “Repubblica”. E minacce contro i presidenti delle regioni dell’Emilia Romagna e del Piemonte, Stefano Bonaccini e Alberto Cirio. Che lettera malvagia, quella recapitata a Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive di Genova: “Una sera veniamo a casa tua in quattro persone. Non è una minaccia ma una promessa”. Una lettera dello stesso tenore è stata recapitata al sindaco di Pesaro, Matteo Ricci. Anche il presidente del Consiglio Draghi ha ricevuto una mail minacciosa: “Vi verremo a prendere tutti. La forca vi sta aspettando”.
Forca? Sarà una suggestione, ma queste forme di comunicazione e di manifestazioni, le cui pulsioni sono di estrema destra, ricordano il “movimento dei forconi”, che mosse i suoi primi passi alla fine del 2011, partendo dalla Sicilia, allargandosi poi a diverse parti del Paese. Agricoltori, partite Iva, il popolo delle controversie fiscali. Una miscela esplosiva che, per fortuna, a un certo punto si spense.
E se anche le proteste dei “no vax” si esaurissero? Non siamo la Francia dei “gilet gialli”, da noi certi movimenti protestatari contro lo Stato vennero meno negli anni Settanta, al tempo dei moti di Reggio Calabria. Bisogna dunque solo aspettare o il nuovo millennio ci stupirà?