Arriva un flash di luce dal nuovo processo sulla strage di Bologna, appena ripreso dopo la pausa estiva: una novità che non sconvolge tanto per la ricostruzione dei fatti ma per la pervasività dei depistaggi. Tanto estesi e massicci da rendere impossibile la ricostruzione della verità. Ci chiediamo sempre come sia stato possibile tutto quel caos investigativo: il dettaglio reso noto oggi dà le dimensioni del fenomeno.
Le impronte del principale imputato, Paolo Bellini, avanguardista e uomo cerniera tra mondi criminali e servizi, sarebbero state cancellate. “Sbrigati, perché questo ce lo vogliono sottrarre con la scusa che finisce la carcerazione preventiva”: sarebbe la frase che l’ex capo dell’Ucigos, Gaspare De Francisci, riferì all’allora funzionario della Digos di Reggio Emilia, Raffaele Ponzetta, parlando proprio di Bellini che, nel 1981, si trovava nel carcere di Sciacca per un furto di mobili antichi. Allora però era noto con il nome falso di Roberto Da Silva. Ponzetta, che indagò su Paolo Bellini dal 1981 al 1983, è stato sentito oggi come teste e, a suo dire, le parole di De Francisci erano legate alle coperture di cui godeva Bellini. “Il Sisde – ha detto Ponzetta – sospettava che Bellini stesse aspettando la fine della carcerazione preventiva per rendersi nuovamente latitante”.
Il servizio segreto civile aveva inviato un telegramma cifrato all’Ucigos, che era poi stato girato a Ponzetta, da cui si apprendeva da fonte confidenziale che Roberto Da Silva era in realtà Paolo Bellini. Trasferito da Sciacca nel carcere di Parma, Ponzetta riprese a indagare: “Iniziammo le procedure per identificarlo ma furono lunghe, perché lui negava di essere Bellini, non avevamo le impronte digitali e c’era solo una vecchia foto”. Il solerte funzionario pensò allora di ottenere le impronte rivolgendosi al distretto militare in cui Bellini aveva svolto il servizio di leva. “Prima di fare la richiesta – ha spiegato – mi rivolsi informalmente al distretto, ma mi dissero che dal fascicolo di Bellini mancavano le sue impronte digitali”. Proprio quelle dell’ex primula nera di Avanguardia nazionale.
Altra omissione riguarda la ricostruzione della perquisizione fatta il 4 agosto 1980, due giorni dopo la strage, all’albergo della Mucciatella di proprietà del padre di Bellini, Aldo – sulla quale è già stato sentito lo scorso luglio il maresciallo di pubblica sicurezza Salvatore Bocchino. È noto che nell’hotel fu trovato Ugo Sisti, all’epoca procuratore capo di Bologna e in stretti rapporti con Aldo Bellini: era lì per le indagini? Nient’affatto, ve lo abbiamo già raccontato, il procuratore capo della città colpita dalla bomba non era nella sede istituzionale a seguire gli eventi dopo i quali andò a fare visita al suo amico Aldo, ex “gladiatore” – quasi un summit di valutazione ex post.
Ebbene, ora apprendiamo che c’era anche una terza persona, mai identificata con certezza. La relazione del 1980 su quella perquisizione “non finì nel fascicolo perché non venne ritenuta rilevante – ha detto Ponzetta – e poi è sparita”. Per essere riscritta nuovamente nel 1982 da Bocchino su richiesta della procura di Reggio Emilia. Nella seconda versione, però, ha dichiarato il teste, mancava il riferimento all’avvocato Luigi Corradi, che avrebbe accompagnato Sisti nell’albergo di Aldo Bellini la sera precedente alla perquisizione e che, secondo Bocchino, era presente la mattina del controllo di polizia. Resta comunque una contraddizione: Ponzetta ha sottolineato che il nome di Corradi gli venne fatto appunto da Bocchino il quale, tuttavia, durante la sua testimonianza, non solo ha detto di non sapere chi fosse la terza persona che era alla Mucciatella, ma ha anche aggiunto di non conoscere l’avvocato Corradi.
Come vi abbiamo già ampiamente raccontato su terzogiornale Paolo Bellini fu “sfilato” da ogni indagine, dopo la strage di Bologna, perché si procurò un falso alibi ora clamorosamente caduto grazie alle testimonianza della ex moglie. Il neofascista era lì quel maledetto 2 agosto 1980, e ora è alla sbarra accusato di strage. Resta l’amarezza di una consapevolezza pubblica tardiva, anche se per la verità non è mai troppo tardi.