Erano stipati all’inverosimile come sardine. Muti. Facce scavate dalla fame e dal dolore. Gli occhi spenti. Quando le prime luci dell’alba cominciarono a illuminare il porto di Brindisi, il 7 marzo del 1991, un po’ di Albania si presentò in Italia. A bordo di mercantili arrugginiti, di barconi, di qualsiasi cosa che galleggiasse, ventisettemila albanesi pensarono che il loro sogno si fosse avverato. Che “Lamerica” avrebbe garantito loro una possibilità di futuro.
In un solo giorno, la Puglia e l’Italia scoprirono la questione dell’immigrazione che avrebbe segnato gli anni a seguire fino ai giorni nostri. L’Albania stava uscendo da uno dei regimi comunisti più terribili, quello di Enver Hoxha. Dopo i primi mesi di sbarchi albanesi sulle coste pugliesi, l’Italia, nel settembre di quell’anno, organizzò una missione umanitaria, l’operazione “Pellicano”, allestendo un campo base sulla spiaggia di Durazzo.
Faceva impressione quell’Albania povera fino all’osso. Fabbriche, pompe per tirare in superficie il petrolio, miniere e campagne abbandonate. Gli edifici senza vetri alle finestre. C’era bisogno di tutto. Anche dei sussidiari e delle matite per gli asili e le scuole elementari. Gli enormi elicotteri a due pale, i CH47, facevano la spola con le regioni povere dell’Albania portando quintali di farina e zucchero.
Ma la luna di miele tra una Italia solidale e accogliente e il popolo senza più una identità finì prima ancora della missione “Pellicano”. Il divorzio si celebrò a Bari l’8 agosto del 1991. Quella mattina, a bordo di un immenso mercantile, il Vlora (in italiano, Valona), si presentarono nel porto di Bari più di ventimila albanesi. Un miracolo che la nave fosse riuscita ad attraversare l’Adriatico. Un miracolo che quel popolo dolente fosse riuscito a sopravvivere. Appena attraccata a Bari, molti del Vlora si lasciarono cadere in acqua.
Speravano anche loro di essere arrivati nella terra promessa, “Lamerica”, e invece sperimentarono la durezza di un governo e di un’alleanza – il pentapartito che fu – che stava per entrare in agonia, con Mani pulite alle porte. Furono ammassati nel porto, caricati, trasferiti nello stadio della città e man mano riportati in Albania.
Un grande sindaco di Bari, il professore Enrico Dalfino, in una intervista al “manifesto” espresse l’indignazione di una città e di una regione per la reazione del governo: “Quelle migliaia erano solo un popolo affamato con negli occhi il terrore di dovere tornare in patria. E nelle condizioni in cui sono stati costretti, è stato facile farsi prendere la mano dalla disperazione”.
Furono giorni di tragedia. Con scene di caccia che ricordavano le retate “cilene”. Nel porto, tra i vicoli della città, le manganellate, i lacrimogeni, la caccia “ai criminali”.
Sarebbe sciocco non ricordare che la questione albanese è stata anche una questione “criminale” nel senso che per anni abbiamo avuto in azione bande di rapinatori, organizzazione del racket della prostituzione, trafficanti di droga. E le statistiche della popolazione carceraria per molti anni hanno visto tra gli stranieri primeggiare proprio gli albanesi. Ma sono ormai quasi cinquecentomila gli albanesi regolarmente residenti in Italia.
Quello che accadde a Bari l’8 agosto di trent’anni fa, l’espulsione di massa di ventimila stranieri irregolari, è stata una pagina nera dell’Italia solidale e accogliente. Non si sono mai più registrati episodi simili per dimensioni e violenza.
In realtà, qualcosa di tremendo accadde ancora il venerdì santo del 1997, quando una motovedetta albanese tentò di forzare il blocco navale deciso dal governo di centrosinistra e una corvetta militare non riuscì a evitare l’impatto con la motovedetta, la Kater I Rades, che affondò. Oltre ottanta morti, il bilancio.
Bari celebrerà l’8 agosto il ricordo dello sbarco del Vlora di trent’anni fa. È una occasione per ricordare quella stagione irripetibile, l’accoglienza di decine di migliaia di albanesi e la cacciata di ventimila irregolari.
Da allora, dal 1991, l’Italia ha dovuto fare i conti con l’immigrazione irregolare. Paese di migranti, l’Italia è diventata paese di transito di decine di migliaia di migranti diretti in Europa. La rotta pugliese si prosciugò all’inizio del nuovo millennio, quando dalla Libia iniziò l’esodo di cittadini del Corno d’Africa, della fascia subsahariana, dell’Africa centrale. Ancora oggi, la questione dei migranti continua a rappresentare un punto di sofferenza per le istituzioni europee.
Forse dovremmo guardare alla lezione albanese per cercare di trovare una soluzione ai problemi dell’oggi.