“Se davvero il governo vuole correre ai ripari per sanare quel lazzaretto e quella palestra di violenza che sono le carceri avrà bisogno di risorse per dare vita a un new deal del sistema penitenziario”. Lavora al ministero della Giustizia, è un tecnico, e ha le idee chiare sulla partita che si sta giocando nelle carceri. Non era mai accaduto che il presidente del Consiglio, accompagnato dal ministro della Giustizia, si recasse in un carcere, quello di Santa Maria Capua Vetere, al centro di una inchiesta giudiziaria che ha svelato – con i video e le chat – la “deviazione” degli apparati preposti “all’ordine, disciplina e sicurezza”, cioè il corpo della Polizia Penitenziaria.
Scene di violenza inaccettabile, pestaggi di detenuti, rappresaglie e tanto dolore hanno portato la magistratura a emettere una cinquantina di misure cautelari. Il premier Draghi è rimasto colpito e le sue parole hanno lasciato il segno: “Non può esserci giustizia dove c’è abuso, non può esserci rieducazione dove c’è sopruso. Il sistema va riformato”. Ma in che direzione si deve andare? La guardasigilli Marta Cartabia ha dato qualche indicazione: “Più fondi, più impegno per la formazione permanente”.
Naturalmente adesso bisogna anche ricostruire i fatti che sono accaduti all’indomani delle rivolte in ventidue istituti penitenziari nel marzo del 2020, nel pieno della pandemia da Covid-19. La commissione ispettiva che deve indagare su Santa Maria Capua Vetere è già a buon punto, dopo aver ricevuto dalla procura della Repubblica gli atti della inchiesta penale. Muove i suoi primi passi, invece, la commissione ispettiva presieduta dall’ex procuratore generale di Caltanissetta, Sergio Lari, che dovrà indagare sui fatti accaduti negli altri istituti penitenziari, sempre nel marzo del 2020, per capire le cause stesse delle rivolte. E analizzare i comportamenti adottati dagli operatori penitenziari al fine di ristabilire l’ordine e la sicurezza.
Per la verità c’è stata una falsa partenza, perché uno dei componenti della commissione è stato “congelato”. Riccardo Secci, comandante del corpo di polizia penitenziaria del carcere di Lecce è stato invitato a mettersi da parte perché aveva espresso solidarietà umana sui social al provveditore regionale della Campania, Antonio Fullone, indagato dalla procura di Santa Maria Capua Vetere per la mattanza nel carcere.
Colpisce il lavoro fatto da “Antigone”, l’associazione che si occupa dei diritti dei detenuti, che segue diciotto processi in corso su episodi di torture o violenze nei confronti dei detenuti. Tra questi processi ve ne sono due che riguardano due detenuti lasciati morire per l’assenza di adeguate cure mediche. Si tratta di episodi accaduti negli ultimi dieci anni. Cinque dei nove imputati sono stati condannati per la morte di un carcerato, Alfredo Liotta, che soffriva di anoressia, e che si era ridotto a pesare quaranta chili. Liotta è morto nel luglio del 2012 nel carcere di Siracusa. Un altro medico della casa circondariale di Pordenone è sotto processo per la morte di Stefano Borriello, 29 anni, per una infezione polmonare non curata.
Spesso i pm chiedono l’archiviazione degli indagati che riguardano il personale delle carceri, e spesso è il procuratore generale che impone la contestazione dei reati agli indagati stessi con l’avocazione del processo. Ivrea, Monza, San Gimignano, Torino, il carcere di Opera di Milano.
L’8 marzo del 2020, la rivolta nel carcere di Modena si trasforma in una tragedia. Nove detenuti muoiono per “intossicazione da farmaci”. Durante la rivolta avrebbero assaltato la farmacia del carcere sottraendo diversi preparati. Al di là dell’archiviazione del processo, l’episodio di Modena è emblematico della situazione carceraria. Esistono tante “piccole” Santa Maria Capua Vetere – come Melfi e Pavia – che adesso la commissione ispettiva dovrà analizzare con attenzione. Sarebbe un errore se la commissione ispettiva e lo stesso governo si soffermassero soltanto sulle “deviazioni” del corpo della Penitenziaria, che pure si sono verificate, sono accertate e sono da sanzionare.
Il timore che alcuni nell’amministrazione penitenziaria sollevano è che la commissione si riduca a individuare i “colpevoli”, senza approfondire le cause della patologia del sistema. La vera emergenza delle carceri è il deserto di umanità e di professionalità al loro interno. Se si vuole rompere il circuito di confronto-scontro tra detenuti e agenti di Polizia Penitenziaria si devono ripopolare le carceri con figure in grado di sostenere mediante il dialogo i rapporti con i detenuti. Insomma, bisogna riequilibrare le presenze nelle carceri con educatori, mediatori, negoziatori, assistenti sociali. Non si può accettare che quei pochi assistenti sociali, che hanno la funzione di rieducatori, stacchino il lavoro alle ore 14. Dalle due del pomeriggio alle otto del mattino i “rieducatori” dei detenuti sono gli agenti di custodia.
Ecco il circuito virtuoso che si deve attivare nelle carceri: formazione e assunzioni. Mancano persino gli impiegati che potrebbero svolgere una funzione sociale nel carcere. Se un detenuto non può cambiare nemmeno un vaglia per la spesa, diventerà scontroso e la tensione salirà.