L’11 luglio è stata una domenica di forti tensioni in varie località di Cuba (le agenzie di stampa parlano di venticinque città dove si sono tenute manifestazioni di piazza con decine di arresti). Epicentro di proteste e scontri con la polizia è stata la località di San Antonio de los Baños, cittadina distante cinquanta chilometri da L’Avana, famosa perché sede della scuola di cinema fondata da Gabriel García Márquez e Fernando Birri.
A unificare la protesta è l’emergenza alimentare e sanitaria, oltre alla richiesta di democrazia. Il paragone di molti commentatori è andato al 1994, quando si ebbe “la crisi dei balseros”, con migliaia di persone che abbandonarono l’isola con mezzi di fortuna. In quel caso, si era nel periodo especial, fatto di privazioni e razionamenti all’osso, che sarebbe durato ancora un decennio, come effetto del crollo del Muro di Berlino e del “socialismo reale”. In quella fase, tuttavia, l’isola si aprì al turismo internazionale e si avviarono le prime riforme economiche verso un’economia mista e non più tutta statale (los cuentas propistas, i lavoratori privati nei settori artigianali).
In questo 2021 la situazione appare più complessa. Le cronache di domenica scorsa parlano pure di assalti ai negozi con beni in valuta straniera (a Cuba c’era e c’è un mercato parallelo legale). Nel 1994 c’erano Fidel Castro e Raúl Castro a fare da collante storico con la loro autorevolezza. Ormai c’è solo Raúl, che però è un pensionato avendo lasciato l’incarico di segretario del Partito comunista cubano. Al governo si trova una nuova generazione di cinquantenni e sessantenni.
Il presidente Miguel Díaz-Canel, che è anche segretario del Partito comunista, con una scelta che recentemente ha riunificato le due cariche nella stessa persona, si è recato nella giornata di domenica a San Antonio de los Baños per riaffermare l’impegno del governo in una situazione economica assai complicata e incontrare la popolazione. Lunedì ha invece tenuto un discorso in televisione dove ha denunciato i tentativi “esterni” di organizzare disordini “controrivoluzionari” e ha invitato a mobilitarsi a difesa della rivoluzione del 1959. Nel suo mirino sono finiti gli Stati Uniti e i gruppi interni all’isola “finanziati da Washington” che hanno l’obiettivo dell’insurrezione contro il governo, oltre a trasformare la situazione cubana in “emergenza umanitaria” (lo slogan scelto dall’opposizione è “SOS Cuba”). “Se qualcuno ha a cuore la situazione cubana, si adoperi per la fine del blocco economico statunitense che ci penalizza fortemente”, ha concluso il presidente ammettendo che ci sono però molte cose da correggere e che non vanno nella gestione economica dell’isola.
Intanto, l’emergenza è fatta di mancanza di medicine, scarsità di produzione alimentare e di beni di prima necessità, oltre che di ripetuti stacchi della luce per mancanza di petrolio. Si dovrebbe affrontare l’emergenza e avere idee innovative sul futuro: l’impasse nasce da questo bivio che non si può ignorare.
Quando si parla di Cuba, la dimensione della questione diventa subito internazionale. La Russia chiede agli Stati Uniti di non interferire nelle vicende dell’isola. Washington chiede a L’Avana di non reprimere le manifestazioni di protesta e di rispondere alle richieste di maggiore democrazia. Su Cuba pesa anche l’atteggiamento della Cina, che ha molti contratti di collaborazione con L’Avana. Un eventuale conflitto sul destino di questo paese dei Caraibi ha ripercussioni internazionali imprevedibili.
Cosa muove le proteste di questi giorni? C’è un limite umano ai sacrifici e alle privazioni che non può essere superato solo con la politica. Da due anni, causa pandemia, i turisti non arrivano a Cuba. Quindi, è rimasto bloccato l’indotto: hotel, bed and breakfast, paladar, taxi, eccetera. Il Covid ha poi picchiato duro, nonostante le precauzioni, l’eccellente sistema di prevenzione sanitaria e la scoperta del vaccino Soberana made in Cuba. Secondo i dati più recenti del ministero della Salute cubano, ci sono attualmente – su undici milioni di abitanti – trentaduemila casi attivi di Covid con la tendenza alla crescita (lunedì scorso sono stati registrati settemila nuovi casi). Solo il 15% della popolazione è totalmente vaccinato, mentre il centro dell’epidemia si registra nella città di Matanzas, poco distante dalle mitiche spiagge di Varadero dove si è provato a riaprire le porte al turismo straniero, russo e canadese soprattutto.
In questo contesto eccezionale, una recente riforma economica non ha dato gli effetti sperati: non si sono fermati l’inflazione e l’aumento dei prezzi come effetto dell’unificazione monetaria (abolizione del peso convertibile, più spazi all’iniziativa privata) e dell’aumento dei salari. In più, l’embargo economico datato 1962 si è fatto, ai tempi di Trump, ancora più implacabile, intralciando ogni scambio economico internazionale e perfino l’attività delle agenzie che fanno arrivare nell’isola le rimesse degli emigrati. Chiedere un visto per andare negli Stati Uniti in visita famigliare è diventata una sorta di via crucis (bisogna chiederlo in un terzo paese con un investimento economico che non ne garantisce l’ottenimento).
Cuba è stata inoltre reinserita dall’amministrazione Trump nell’elenco dei paesi terroristici come ai tempi della “guerra fredda”. Il neopresidente Joe Biden, contro le aspettative, finora non ha un mosso un dito in altra direzione. La visita del presidente Barack Obama del 2016 a L’Avana è un ricordo lontanissimo. Da allora il dialogo con Washinton si è rotto del tutto, mentre aveva raggiunto livelli in precedenza impensabili. L’attuale Casa Bianca sembra guardare alla crisi cubana di queste settimane pensando che la mela è matura per cadere dall’albero.
Questo mix di eventi ha reso una polveriera la situazione di Cuba dell’ultimo anno. La vita quotidiana è diventata difficilissima. Senza valuta straniera è difficile trovare beni essenziali e sopravvivere. Le notizie di manifestazioni spontanee o organizzate di questi ultimi giorni vanno dunque inquadrate in questo peculiare contesto che ha acutizzato tutti i mali di Cuba. L’indifferenza della comunità internazionale nei confronti dell’isola fa il resto, malgrado il recente voto delle Nazioni Unite contro l’embargo diventato un rituale senza conseguenze pratiche (solo Stati Uniti e Israele hanno votato insieme con l’astensione di Brasile e Ucraina). Cuba resta perciò un’anomalia politica che molti vorrebbero cancellare. E Cuba, da parte sua, le ha provate tutte per resistere e le proverà ancora.
Non è consigliabile, infine, fare previsioni su ciò che può accadere da qui in avanti. Il caso cubano ha più volte smentito i profeti di sventura mettendo in campo inventiva e capacità di resistenza. Questa volta la situazione tuttavia è davvero complicata.