La ferita sanguina. E molto. A tre giorni dagli arresti degli agenti della Penitenziaria, per i fatti avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, la politica e il governo si sono svegliati. È troppo grave quello che è successo, quelle immagini delle bastonate, delle manganellate, dei ceffoni, dell’umiliazione dei detenuti hanno fatto il giro del mondo. E chiedono giustizia.
Le chat girate tra le sporche dozzine di massacratori non lasciano dubbi che il massacro fosse programmato anche se disorganizzato. Sembra un ossimoro: come si può programmare un massacro e nello stesso tempo presentarsi disorganizzati nel momento in cui si consuma? Lasciamoci alle spalle la storia dei massacri e delle rivolte nelle carceri. Ricordo che nel carcere di Poggioreale lo Stato riconquistò a fatica l’agibilità perché i clan della camorra si erano spartiti i padiglioni. E in carcere avvenivano regolamenti di conti spietati e sanguinari. E ricordo l’epoca in cui i boss mafiosi avevano trasformato l’Ucciardone in un albergo a quattro stelle. E le carceri speciali dove i brigatisti e i terroristi rossi si ammazzavano tra di loro. E le guardie carcerarie uccise sotto casa dai killer della mafia.
In queste ore di via crucis dello Stato, non possiamo non ricordare tutto questo, non foss’altro perché nel tempo, i diritti civili e umani sono stati traditi da ambo gli eserciti. L’orrore dei massacri nel carcere di Pianosa, all’indomani delle stragi Falcone e Borsellino, meriterebbero di essere affrontati. Se è vero che il ministero di Giustizia intende fare una ricognizione in tutti gli istituti penitenziari sarebbe utile che si riprendessero i fascicoli sugli eventi più drammatici accaduti in questi anni, a partire dagli anni Ottanta.
Ma l’inquietudine di oggi ci parla di una contraddizione che non riusciamo a risolvere. Sono circa quarantamila gli agenti della Penitenziaria, i dipendenti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. È giusto che vivano tutti queste ore come colpevoli dei massacri? Le “mele marce” individuate dai magistrati casertani sono cinquantadue, eppure il senso di colpa coinvolge tutti. E l’opinione pubblica, al di là di una minoranza che si riconosce in Salvini e nelle formazioni di estrema destra, si ritrova in questa generalizzazione.
Torniamo a Santa Maria Capua Vetere. Ai vertici del Dap si respira un’aria di nervosismo. Lunghe discussioni e riflessioni. Le decisioni spetteranno alla ministra Cartabia, ma le proposte elaborate dai vertici della Penitenziaria sono, in sintesi, queste: “Revisione della formazione del personale. Riflessione su come impedire che si ripetano i massacri dei detenuti”.
Nel 2016 vi fu una perquisizione nel carcere romano di Rebibbia con settecento uomini e non successe nulla. Fu possibile quel miracolo perché la perquisizione fu preparata con direttive specifiche, briefing e osservatori dirigenti che giravano al seguito dei reparti per controllare come operavano gli uomini.
Apparentemente Santa Maria Capua Vetere si presenta come un massacro organizzato. In realtà sono gli agenti che ne parlano tra di loro, con la complicità di qualche dirigente. Ma quello che accadde nel carcere fu espressione di una disorganizzazione totale. Perché non furono spente neppure le telecamere interne (che hanno incastrato i colpevoli)? Per un senso di impunità? Per ignoranza?