La commissione di giuristi istituita il 26 marzo dalla ministra Cartabia ha chiuso i lavori. Ha proposto interventi sulla riforma dell’ordinamento giudiziario (niente norme sostanziali né sul processo penale o civile), e sul d.d.l. AC 2681, che prevede deleghe al governo in tema appunto di ordinamento, Csm, responsabilità disciplinare, eleggibilità e funzioni dei magistrati. Un perimetro denso di significato, viste le cronache. I profili giuridici emersi e l’esito complessivo sono tutti da discutere. Va detto – la commissione lo riconosce – che la presenza del disegno di legge condizionava le cose. Un governo e un ministro che si appoggiano a compatibilità di circostanza non possono superarle facilmente.
Sullo sfondo del disegno ci sono casi scottanti: Palamara, contrasti al Csm, fughe di notizie e di verbali, autogoverno di corridoio, fibrillazioni nell’Associazione magistrati, loggia Ungheria eccetera. Ma vediamo alcuni aspetti.
Gli interventi sulla valutazione periodica di professionalità, come quelli sulla prova di concorso, si concentrano sulla verifica della preparazione e dell’efficienza tecnica, e quindi non colgono affatto la questione epocale che si è aperta in Italia. Lo stesso vale sull’organizzazione e il finanziamento della Scuola della magistratura, una struttura che quanto a fabbricazione e manutenzione di esperti già funziona.
Il problema è che le magistrature, in tempi di autoritarismo, unanimismo, cordate d’interessi, egocentrismi al potere e diritti recitativi hanno bisogno di tutt’altro: costruire bene la persona del magistrato sul versante della consapevolezza, della morale, della maturità umana, della promozione sociale, del contrasto al cinismo e all’indifferenza, della solidarietà, dell’antifascismo, dell’impegno per il progresso e la democrazia. Cose più importanti del bagaglio nozionistico e delle prestazioni burocratiche misurate con minuziosi metri aziendali. Piero Calamandrei notava che, di solito, le costituzioni sono in polemica col passato, mentre la nostra è in polemica col presente e si impegna a cambiarlo. Il giurista dottissimo, sgobbone e notabilare è il contrario di quel programma.
Si usa chiamare “porte girevoli” il sistema che permette di lasciare la toga, fare politica e indossarla di nuovo. Un fenomeno criticato, spesso strumentalmente: la politica è un diritto-dovere costituzionale; anche avvocati e amministratori vari fanno politica (senza pausa dalle funzioni); si fa chiasso su magistrati scomodi ma si tace su quelli allineati, e in questi giorni la destra sta candidando due toghe in città importanti. In tema di “porte girevoli” la commissione non dà spazio, su chi torna da un mandato, alle idee barbare di togliergli il posto o le funzioni giudiziarie, e propone un periodo di incarichi defilati; c’è il rischio, però, di perdere professionalità preziose. Non riceve spazio neppure il sorteggio al Csm, espediente disgraziato di cui a volte si parla. Ma attenzione, perché anche qualsiasi sistema elettorale può avere inconvenienti.
È ingiustificabile, invece, che intervenendo a fondo sul collocamento fuori ruolo, che permette di fare attività diverse dalla giurisdizione, si metta mano solo ai magistrati ordinari e non a tutte le magistrature, anche speciali. I magistrati speciali – per via degli incarichi, della ristrettezza degli ambienti di lavoro, in certi casi dell’elevata specializzazione – possono svolgere attività d’ufficio che stridono col passaggio disinvolto dalla giurisdizione alle amministrazioni, ai gabinetti governativi, a snodi internazionali del potere, e viceversa.
Le attività politiche e le altre attività non giudiziarie, comunque, vanno viste insieme. Per brevità, un esempio: Franco Frattini, magistrato amministrativo, parlamentare, più volte ministro con Berlusconi; fra l’altro, da titolare degli Esteri fu la morbida controparte di Frank-Walter Steinmeier al vertice bilaterale di Trieste, nel 2008, quando la Germania fece di tutto per non pagare i risarcimenti per stragi e deportazioni; dopo, Steinmeier divenne presidente e adesso Frattini è al Consiglio di Stato.
Sul Csm, per ora è accantonato il sistema modulare di avvicendamento dei consiglieri: si tratterebbe di scaglionare le elezioni, rinnovando alternativamente una parte o un’altra del Consiglio. Sembra l’uovo di Colombo, ma che funzioni contro le manovre corporative è un’illusione. Così gli scambi di favori possono o diventare più macchinosi o richiedere celerità nel do ut des: chi vuol fare sotterfugi si sbrighi o li concordi prima. In realtà, un Consiglio con maggioranza elettiva è un beneficio per i cittadini, e il ricambio spezzettato non offre più trasparenza e correttezza; può persino ostacolare l’affiatamento tecnico e culturale fra i togati, che comporta distinzioni e schieramenti. Che si voglia escludere proprio questo, con la regola per cui gli eletti “si distinguono tra loro solo per categoria di appartenenza”, è pericoloso.
A proposito di trasparenza. Si stabilisce la pubblicità per gli atti di nomina agli uffici direttivi e semidirettivi, ma si perde l’occasione per valorizzare davvero l’applicabilità agli organi di autogoverno e di garanzia del Foia, Freedom of Information Act, introdotto nel 2016. La questione ha bisogno di un chiarimento, cioè di una conferma risoluta nel senso dell’accesso civico generalizzato, per la libertà d’informazione. Proprio mentre nelle magistrature si sente del torbido, si deve mettere tutto bene in chiaro.
Il progetto supera il metodo di reclutamento dei magistrati con concorso di secondo grado, che alla lunga li sostituisce con ex questo ed ex quello, come volle anni fa un quadro politico normalizzatore. Il Piano di rinascita democratica della loggia P2 voleva modificare “la normativa per l’accesso in carriera (esami psico-attitudinali preliminari)”; il reclutamento fra persone già cresciute in altri ambienti agisce più in profondità, addestra psiche e attitudini prima di esaminarle. Punire prima di sorvegliare.
La commissione ha voluto persino proporre la revisione della Costituzione: un’Alta corte, con magistrati ordinari e speciali, per il contenzioso su tutti i provvedimenti del Csm e degli organi di garanzia delle magistrature speciali, e anche per i conflitti di giurisdizione. Questo Argo dai molti occhi cambierebbe assetti che hanno radici nell’unità d’Italia, nella vittoria dell’antifascismo e nella forma costituzionale repubblicana: riparto della giurisdizione, autogoverno e impugnazione degli atti di quegli organi derivano dalle leggi postunitarie e dalle scelte della Costituente.
Nella relazione si dà atto di aver lavorato in poco tempo. Qualche spunto è buono, ma la fretta a volte è cattiva consigliera.