Il centrodestra, a differenza del centrosinistra, trova sempre la quadra. Il cemento degli interessi è forte, e alla fine vince su altre pregiudiziali politiche. Le scelte per le amministrative di Roma e Torino lo dimostrano ancora una volta: sono un armistizio nei rapporti interni alla coalizione a tre (Berlusconi, Salvini, Meloni). Nelle settimane precedenti c’erano divergenze sui nomi possibili dei candidati a sindaco e il dibattito sembrava concentrarsi sull’idea di un “partito unico” o su una “federazione” della destra italiana (Salvini proponente), oltre che sulla leadership (Meloni o Salvini?).
Alla fine, però, le soluzioni premiano la decisione di rappresentare socialmente interessi precisi, in attesa di ulteriori sviluppi sul destino della destra italiana. I candidati non sono granché (nomi di maggiore peso hanno declinato l’invito a dimostrazione che la crisi della politica morde pure a destra), ma sono toppe credibili.
A Roma l’ha spuntata Fratelli d’Italia che lascia alla Lega la scelta per il possibile primo cittadino di Milano. Enrico Michetti, romano di Roma, classe 1966, professore di Diritto degli enti locali all’Università di Cassino, direttore di La gazzetta amministrativa rivolta alla pubblica amministrazione, è diventato famoso per le sue trasmissioni all’emittente Radio Radio: un mix di populismo alla latinoamericana e di nostalgia per la destra con il fez. Da sempre collocato a destra, consulente di molte amministrazioni cittadine di centrodestra, ha conquistato da tempo le simpatie di Giorgia Meloni, che su di lui ha dichiarato, facendo una citazione colta tratta dal film Pulp fiction: “Michetti è come il signor Wolf: risolve problemi”.
Mr. Wolf, nel film di Quentin Tarantino, aiutava infatti i due protagonisti della pellicola a uscire dai pasticci in cui si erano cacciati. In questo caso, Michetti è il punto di equilibrio tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Rinunciando a candidarsi nella sua città, dove di solito fa incetta di voti ed è molto popolare, Meloni ha confermato di voler puntare più in alto rispetto allo scranno di prestigio di primo cittadino del Campidoglio. La decisione di convergere su Michetti si spiega poi per evitare concorrenze tra candidati di partito, e per gli intrecci che il candidato ha con molti settori della pubblica amministrazione romana. Lista civica anziché solo liste di partito è stata la decisione finale (queste ultime affiancheranno il candidato unitario).
Michetti si presenta in ticket con Simonetta Matone, magistrato, ex sostituto procuratore al Tribunale dei minorenni di Roma, nota come opinionista in varie trasmissioni televisive. Il terzo protagonista della sfida romana della destra è l’intramontabile Vittorio Sgarbi, proposto da Salvini in persona come ideale assessore alla cultura. Dietro questi tre moschettieri, si muovono Confindustria, avvocati e magistrati, centri culturali polivalenti e privati di un mondo romano che tradizionalmente guarda a destra. I nomi non sono molto noti e forse di basso profilo, non così – a ben guardare – la loro capacità di attirare voti. Temi annunciati su cui battere: occupazione, servizi, sicurezza, decoro, trasporto, periferie, rifiuti. Tutto ciò su cui hanno deluso Virginia Raggi e i 5 Stelle. La prima dichiarazione del candidato Michetti dà un’idea del personaggio: “Serve senso di appartenenza. Roma è una città accogliente e dove si respira il senso della patria. Io mi ritrovo nei valori della patria”.
A Torino la scelta del centrodestra è caduta su Paolo Damilano, imprenditore. Decisione unanime di Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Udc, Coraggio Italia (ultima creatura nata dalle defezioni da Forza Italia). Figlio di partigiani, cinquantacinque anni, noto per un’azienda di vini nelle rinomate Langhe e un’altra di acque minerali, ex pilota di rally, presidente della Film commission del Piemonte, ha diretto il Museo del cinema di Torino. Simpatizzante leghista, è vicino alle posizioni di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, volto governista e ragionevole del Carroccio.
Due gli slogan banali di Damilano dopo l’investitura: “Torino bellissima” (così si chiamerà la sua lista civica) e “C’è da fare”. Sintesi del programma: pista da sci cittadina, hotel cinque stelle lusso, settimana del cinema con attori e registi che si alternano nelle piazze cittadine, terza linea di metropolitana sopraelevata da finanziare con appositi bond. Qui il centrodestra ha deciso di schiacciarsi sulla Confindustria, ma con un candidato originale, non banale.
Enrico Letta, forse preoccupato per questo volto non scontato del centrodestra, si è affrettato a dichiarare ai microfoni de La7 che le elezioni di autunno “sono amministrative e non politiche”. Quindi, il segretario del Pd non ne trarrà “scelte politiche”: né in caso di vittoria, né in caso di sconfitta. Il che – tradotto – vuol dire niente dimissioni in caso di buco nell’acqua.