Nelle righe finali del suo articolo pubblicato su questo sito il 12 maggio scorso, Paolo Barbieri esortava il Pd a “mettere le vele a vento”, considerando come Biden, negli Stati Uniti, si stia impegnando in una politica economica di spesa pubblica fortemente espansiva – ed esortava a farlo anche a costo di mettersi un po’ in urto con il governo Draghi. Detto fatto, Letta sembra essersi scosso dal suo torpore (che, per quanto riguarda il Pd, durava già dalla fase terminale della segreteria di Zingaretti), e ha tirato fuori la grande mossa di uno straccio di proposta in materia di fisco: intervenire sulla tassa di successione – oggi in Italia ridicolmente bassa rispetto ad altri paesi europei – almeno per i patrimoni superiori a un milione di euro, con il fine di destinare le risorse ai giovani. Una cosuccia in fondo leggera leggera, a cui però Draghi ha risposto a stretto giro picche: “Non è questo il momento di prendere, da parte dello Stato, ma di dare”. Una frase che gli avevamo già sentito dire, e che ci aveva già un po’ colpito. Uno Stato, infatti (anche una comunità sovranazionale di Stati come quella europea), non può “dare” all’infinito e senza limiti, evitando di porsi il problema: da chi prendere? Sappiamo anche noi che, in economia, si parla di un effetto “moltiplicatore” della spesa pubblica. E questo va bene, nel senso di un “se dai cento, poi, per l’effetto di volano che così si produce, riprendi centodieci o centoventi o centotrenta”; e a quel punto le tasse le fai pagare sul sovrappiù che si è creato (parlando certo piuttosto alla buona).
Ma il punto è che, nell’uscita da una pandemia che ha tenuto ferma la gran parte delle attività produttive per circa un anno e mezzo, in una situazione di emergenza, uno Stato può e deve senza dubbio anticipare i soldi, ma dovrà poi pure rifarsi su qualcuno in attesa del “ritorno”, che si vedrà nel tempo medio-lungo, se non vuole far crescere in maniera esponenziale il proprio debito pubblico, con tutti i rischi che ciò comporta sui mercati finanziari, da cui quello stesso debito pubblico dipende (e un discorso analogo vale, in senso più generale, per l’Europa). Ora, noi sapremmo bene su chi rifarci, nel frattempo – anche in una prospettiva temporale più ampia, se volessimo mettere mano a quella cosa fuori moda chiamata “ridistribuzione” –, noi li chiamiamo “i ricchi”.
Questi signori sono usciti, o stanno uscendo, dalla pandemia in gran parte più facoltosi di prima, perché, per forza di cose, se non altro hanno dovuto risparmiare (niente gozzoviglie e spese voluttuarie, zero viaggi, meno di tutto). Gli anziani scampati alla morte da Covid (quel virus che ha colpito molto di più i meno ricchi, bisogna dire) perché mai dovrebbero evitare di “dare” o dovrebbero addirittura disporsi a “prendere” qualcosa? Se essi si interrogassero un pochino intorno alla fine della propria vita (da augurare il più tardi possibile, naturalmente), perché non potrebbero lasciare allo Stato una piccola parte – da calcolare secondo il criterio di progressività sancito dalla nostra Costituzione – dei propri patrimoni superiori al milione di euro?
In verità, parlare di una tassa di successione appena un po’ meno lieve di quella attuale è proprio il “minimo sindacale”, per citare ancora l’articolo di Paolo Barbieri. Una bella patrimoniale sui redditi alti, soprattutto sul denaro tenuto in banca o investito in titoli finanziari, sarebbe ciò che ci vorrebbe. Ma sappiamo che, per un obiettivo del genere, dovremmo avere tutto un altro governo (e anche tutto un altro partito di sinistra o centrosinistra).
Per concludere, bene ha fatto Letta a porre la questione della tassa di successione, sebbene sia ancora troppo poco. Se il Pd vuole avere qualche speranza non di vincere le prossime elezioni, ma almeno di perderle con onore, dovrà insistere nel delineare delle proposte credibili che lo smarchino dal governo Draghi, che per molti aspetti decisivi – e quello fiscale è uno di questi – non può e non potrà che subire i veti della destra. A quando, dunque, un Letta di governo e opposizione al tempo stesso?