Com’è solito dire Renzo Arbore: “Ogni Paese ha il suo Sud, cioè la parte meno sviluppata”. Si può aggiungere che ogni Paese del Mediterraneo ha la sua Lampedusa, cioè il punto più critico della pressione migratoria. Per la Spagna questo luogo si chiama Ceuta e Melilla, enclave a giurisdizione iberica in territorio nordafricano, e marocchino in particolare, in posizione strategica lungo lo Stretto di Gibilterra, ceduto dal Portogallo alla Spagna fin dal 1668. Il Marocco non smette di chiederne la restituzione territoriale dagli anni Settanta post-dittatura franchista, dopo che nel 1995 Ceuta e Melilla sono state dichiarate “città autonome” dalla Spagna. Madrid da questo orecchio però non ci sente: né con i governi socialisti che si sono succeduti nei decenni, né con quelli di destra. In quelle due cittadine, come un timer a orologeria, esplode periodicamente il tema migratorio con sconfinamenti di migliaia di persone in cerca di fortuna, e con la conseguente risposta autoritaria della polizia spagnola e marocchina che non possono permettersi di mettersi da parte senza far rispettare leggi e regole.
È quanto accaduto anche negli ultimi giorni. La situazione è così caliente che Pedro Sánchez, premier di Madrid, ha annullato un viaggio ufficiale a Parigi per recarsi a Ceuta e Melilla a visionare la situazione e dichiarare: “Agiremo con fermezza di fronte a qualsiasi sfida e circostanza. La situazione è grave per la Spagna e per l’Europa”. L’indifferenza europea è un altro tema ricorrente nelle crisi migratorie del vecchio continente. Si interviene solo quando la bomba dell’immigrazione esplode e si cerca di suddividere i migranti in Paesi diversi a seconda delle percentuali di inclusione. Ora tutto si aggrava per il Covid, che attanaglia l’Africa e ha messo in ginocchio le economie europee, quella spagnola inclusa. C’è perciò da attendersi altri episodi del genere.
Vale però la pena ripercorrere gli ultimi avvenimenti, perché il “caso Ceuta e Melilla” ha una sua peculiarità pure politica. Nei giorni scorsi, in ottomila hanno attraversato il confine a nuoto e si sono rifugiati nell’enclave di Ceuta provenienti dal Marocco. José Luis Escrivá – ministro per Inclusione, Sicurezza sociale e Migrazione di Madrid – ha annunciato immediatamente rimpatri “a ritmo significativo” in considerazione del fatto che gli accordi con il Marocco prevedono permessi di entrata in territorio spagnolo contingentati. Degli ottomila migranti che sono arrivati a Ceuta la metà sono già stati rimpatriati.
Secondo il governo di Madrid, l’arrivo di questa massa di migranti nelle ultime ore non è – come potrebbe apparire a un’analisi superficiale – una risposta alla decisione della Spagna di consentire l’ingresso nell’ospedale di Logroño di Brahim Ghali, leader del Fronte polisario, presidente della Repubblica araba Saharawi, ammalato di Covid. Su Ghali, da parte marocchina, ci sono tuttavia denunce per presunte violazioni dei diritti umani e genocidio. Il ministro Escrivá preferisce attribuire la mancata sorveglianza della frontiera marocchina all’epidemia di Covid che sta devastando Marocco e Paesi sub-sahariani. Nell’altra enclave spagnola di Melilla, costa orientale del Marocco, ci sono altre decine di persone che vorrebbero espatriare quanto prima.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali delle due parti in conflitto, ciò che accade a Ceuta e Melilla avviene in un quadro di crisi politica dei rapporti Spagna-Marocco. Il ministero degli Esteri spagnolo ha convocato l’ambasciatore marocchino in Spagna, Karima Benyaich. Il governo di Rabat ha poi richiamato in patria la stessa ambasciatrice per consultazioni. La tensione, malgrado le smentite di Madrid, ha come risvolto politico l’appoggio dato dalla Spagna, da lunga data, al Fronte polisario che ha base in territorio algerino, riconosciuto dall’Onu nel 1975, ma non ovviamente dal Marocco. L’ultima proposta avanzata in sede Onu prevedeva la soppressione dell’attuale Repubblica del Saharawi, dichiarata unilateralmente in base al principio del diritto all’autodeterminazione, con la formazione al suo posto di una Autorità per il Sahara occidentale.
Si prevedeva così di aprire una fase transitoria che dopo cinque anni avrebbe dovuto far decidere con un referendum agli abitanti di quel territorio il proprio destino. Ma questa ipotesi è lungi dall’essersi concretizzata. In queste ore Ceuta e Melilla tornano agli onori della cronaca. Dovrebbe avvenire lo stesso per il futuro del popolo saharawi.