Quando il proprietario di un giornale si scontra con un fondo da 196 miliardi di dollari, il proprietario e il suo giornale rischiano di affondare. Non sappiamo se Urbano Cairo sia stato mal consigliato dai suoi avvocati o se abbia perso lucidità ma, accusando di usura, un reato gravissimo, Stephen Schwarzman e il suo fondo Blackstone per l’acquisto a prezzi stracciati dello storico stabile del vecchio giornale milanese di via Solferino, potrebbe andare incontro a guai irrimediabili.
Non ha tutti i torti il proprietario del giornale a cui quella transazione pare quasi una truffa: Blackstone lo compra nel 2013 per 120 milioni e lo rivende ad Allianz nel 2019 per 250, eppure la legge non gli ha dato ragione. I giudici hanno totalmente escluso che Blackstone abbia fatto operazioni scorrette. Il punto è che ora l’uomo forte di Philadelphia, a cui non piace che gli si dia dell’usuraio, intende rivalersi chiedendo 600 milioni di indennità di immagine.
Cairo è dunque a un bivio. Nel 2016 le banche creditrici di Rcs, la proprietaria del giornale, glielo affidarono e partì la litania dell’imprenditore che si fa da sé fino ad arrivare a coronare il sogno di tutti i suoi competitor: scalare le vette del “Corriere”, il giornale della borghesia illuminata. Un’ambizione che risponde sicuramente in primo luogo alla pretesa di avere uno status, come se quel giornale fosse “il potere”. Ci provò anche Stefano Ricucci, uomo forte di Zagarolo, e i suoi amici furbetti, ma furono spazzati via.
Il “Corriere” ha avuto momenti felici: l’aperta opposizione del direttore Luigi Albertini al fascismo, rimosso perciò nel 1925 dalla proprietà, la famiglia Crespi, la coraggiosa e illuminata direzione di Piero Ottone (al suo arrivo nel 1972 se ne andarono Indro Montanelli, che di lì a poco fondo “Il Giornale”, e ben sessanta giornalisti), più di recente la direzione di Ferruccio De Bortoli, con il suo orgoglio antiberlusconiano e antimassonico. Ma in generale gli editori che si sono succeduti, più che da un pensiero editoriale, sono stati guidati dalla filosofia di Francesco Gaetano Caltagirone, proprietario del “Messaggero” di Roma e del “Mattino” di Napoli: “Caro mio, se vuoi fare il grande imprenditore in Italia devi avere per forza un piede nei media, meglio due”.
Il giornale deve essere usato come strumento di potere attraverso gli articoli che pubblica, quelli che non pubblica e il modo in cui essi vengono impaginati, sostiene Raffaele Fiengo, storico giornalista e rappresentante sindacale del “Corriere”, nel suo Il cuore del potere (Chiarelettere). Nel caso del giornale milanese l’andazzo parassitario sprofondò nel baratro della P2 quando nel 1974 venne acquistato dal gruppo Rizzoli che di lì a poco riceverà l’abbraccio mortale di Roberto Calvi (e del suo banco Ambrosiano) e dell’odiosa direzione occulta di Licio Gelli, il quale sapeva di poter fare del “Corriere” il proprio megafono quando ormai era spenta la voce sfacciata di Pier Paolo Pasolini. Alle invettive del poeta contro il potere, subentreranno le manovre piduiste sotto la guida di Franco Di Bella che fece del giornale il “luogo” dell’altro Stato, quello dei militari golpisti, degli imprenditori mafiosi, dei politici reazionari e corrotti. Negli alti e bassi del “Corriere” si possono leggere gli umori, le aspirazioni e più spesso la mediocrità della borghesia italiana che ha tanti soldi e ben meno idee. È un miracolo se di lì sia uscito anche tanto buon giornalismo.
Urbano Cairo ha voluto giocare la sua partita con il piglio arruffone di chi vuole tutto e di più, senza maturare uno straccio di pensiero sull’informazione che non sia quello di servire la sua proprietà. Nella lotta con l’uomo di Philadelphia si sente questo più che altro.