Gli atti simbolici sono rilevanti pure in politica. È destinata a lasciare il segno la foto di Enrico Letta raffigurato con tutti i rappresentanti del governo Draghi (meno ciò che resta di Liberi e uguali) su un palco nel quartiere ebraico di Roma. Non è in discussione il diritto di Israele né a esistere né a difendersi. Quanto piuttosto la collocazione e l’autonomia politica del Pd. Troppa fretta di schierarsi.
Se c’era infatti una positiva tradizione della sinistra italiana (fin dai tempi di Pci e Psi), era quella di far sentire la propria voce a Nord e a Sud del mondo, a Est e a Ovest. Ogni conflitto aveva (e ha) una sua specificità da approfondire. È inoltre finita da tempo la fase del mondo diviso in blocchi, o in “buoni” e “cattivi” per partito preso. I morti sono uguali da una parte e dall’altra, solo la quantità può fare la differenza. Il conflitto israelo-palestinese ha in più radici e attualità complesse nel puzzle già di per sé labirintico del Medio Oriente. Perché, allora, annullare da parte del Pd valutazioni e orientamenti in un calderone governativo? Quella immagine del palco di governo ha poi un senso, o brucia ancora di più, ora di fronte all’evolversi degli avvenimenti a Gaza dopo la decisione di Israele di intervento armato e di terra in quel territorio? Non serve certo a riflettere la foto di tutti abbracciati appassionatamente – da Matteo Salvini a Enrico Letta, da Antonio Tajani a Maria Elena Boschi, da Giovanni Toti a Virginia Raggi – con sottofondo di Hatikva, l’inno nazionale israeliano, di fronte a una grande bandiera israeliana.
Bisogna piuttosto andare alla radice dei problemi storici delle due parti in guerra, oltre che al ruolo presente e futuro di Gerusalemme, città multietnica e multireligiosa, solo autoritariamente imposta da Washington e Tel Aviv come capitale israeliana. Così come bisogna discutere del destino dei “territori occupati” e dello sfratto di famiglie palestinesi che sono all’origine dei fatti di questi giorni. Schematizzare non serve.
Ecco perché il gesto di Letta è apparso improvvido e azzardato: un errore politico grossolano. Cercare l’unanimismo in un caso del genere non serve a molto. Non ha senso scegliere Benjamin Netanyahu contro Hamas. I due contendenti fanno parte di uno stesso schema non conciliante e non dialogante, si alimentano a vicenda. Il problema, semmai, è far saltare quello schema politico con il quale non prevarrà mai il giusto obiettivo di “due Stati, due popoli”. Qui c’è proprio da invocare il ruolo dell’Europa, che invece delude come da solito copione. Come quello dell’Onu che potrebbe pensare a una forza di interposizione tra i due contendenti ma subisce i veti degli Stati Uniti per via della potentissima lobby al suo interno. Ma senza una internazionalizzazione autorevole del conflitto non c’è soluzione politica.
Intanto, la parte dialogante e pacifista di Israele non si fa sentire a sufficienza; Netanyahu continua a guidare governi che si poggiano su componenti di destra politica e religiosa. Più elezioni (per la precisione quattro) in breve tempo non hanno risolto il rebus e denotano l’impasse della situazione interna. Il non dialogo favorisce il gruppo di Hamas e mette in crisi anche l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen e ne marginalizza il ruolo (la decisione di rinviare le elezioni palestinesi è un sintomo di debolezza e di paura per la forza di Hamas). È fuor di dubbio che, in assenza di un negoziato come prospettiva, non c’è spazio per soluzioni ragionevoli: si rafforzano le ali estreme di Israele e Palestina. Tutto si complica poi maledettamente se, nello specifico quadro geopolitico dello storico contenzioso, si inseriscono realtà come Iran e Turchia. La polveriera è pronta a esplodere con conseguenze imprevedibili.
Da parte del segretario del Pd sarebbe stato più sobrio e misurato dare perciò solidarietà a Gaza e a Israele contro l’escalation dei missili, con parole dure contro i venti di guerra da ambedue le parti ribadendo la propria posizione a favore di due Stati e due popoli. Letta poteva incontrare, di conseguenza, gli ambasciatori di Israele e Palestina. Il riflesso solidale è scattato per una parte sola, neppure con la più debole. E in queste ore assistiamo al rumore delle armi tra l’impotenza di Onu ed Europa. Non resta che augurarci una tregua e meno vittime innocenti.