Sfrattare, sfratto: il termine rinvia secondo l’etimologia a fratta, è parente e contrario di “infrattarsi”, e in origine indica l’atto di “far uscire la selvaggina allo scoperto”. Stando alle disposizioni contenute nell’emendamento previsto dal Decreto sostegni bis che sbloccano gli sfratti per morosità antecedenti il gennaio 2020, di selvaggina ne dovrebbe uscire all’aperto parecchia… Circa ottantamila famiglie saranno infatti interessate dallo sblocco previsto a partire dal primo luglio. A partire da questa data, sarà avviata l’esecutività degli sfratti relativi a morosità precedenti la pandemia; poi, con una serie di scaglionamenti successivi, si provvederà a rendere esecutivi gli altri procedimenti aggiuntisi successivamente, traguardando all’inizio del 2022 per chiudere le procedure attualmente in corso.
L’emendamento, a lungo sollecitato dalle associazioni dei proprietari e da Confedilizia, che già avevano cercato di intorbidare le acque al tempo del precedente rinvio, nel febbraio scorso, sollevando la questione dei “furbetti dell’affitto” (cioè, a parer loro, di tutti quelli che stavano “approfittando” della pandemia per non pagare), è stato lungamente cavallo di battaglia parlamentare della Lega. La notizia è stata accolta con una certa soddisfazione dal presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, che ha però subito rilanciato, ribadendo in un tweet che si attendono ulteriori passi per garantire un diritto costituzionale troppo spesso violato, dato che il blocco degli sfratti rappresenterebbe un “abuso in sé, perché priva i proprietari di un diritto sancito da un giudice”, e aggiungendo che: “A nostro avviso, quindi, al 30 giugno 2021 – dopo ben sedici mesi di sospensione del diritto – il blocco deve cessare per sempre e per tutti”.
In realtà è tutto molto più complicato: già prima che il Covid la portasse drammaticamente alla ribalta, la situazione degli sfratti non era per nulla in ordine. I cosiddetti “furbetti dell’affitto” sono per lo più persone che non riescono a pagare perché erano già da tempo in difficoltà economica per il trascinarsi di una lunga crisi. Il problema non è solo italiano ma europeo. Esiste infatti una “nuova questione delle abitazioni” che in termini diversi e in proporzioni diverse interessa tutti i paesi della Unione.
È il mercato dell’abitazione in Europa che pare attraversato da una crisi irriducibile dei modelli consolidati. Tra deregulation e privatizzazioni, con il prevalere dell’orientamento a considerare la casa una merce, con lo smantellamento progressivo della concezione dello housing sociale e la ritirata del pubblico dagli investimenti nel settore, il panorama è diventato sempre più critico nel corso dell’ultimo decennio, riproponendo con durezza una problematica antica come quella della casa che, affrettatamente, era stata dai politici giudicata “superata”. A partire dalla crisi economica e finanziaria globale del 2008, tutta una serie di contraddizioni si sono fatte sempre più evidenti, mettendo pesantemente in difficoltà non solo società come quella italiana e spagnola – in cui la predominanza della proprietà privata dell’alloggio pareva rivelare una tendenza ormai consolidata a trovare soluzioni in chiave “proprietaria” –, ma anche società più tradizionalmente basate sull’affitto, come quella tedesca, che sono state toccate sensibilmente negli ultimi anni da un vistoso aumento dei prezzi nelle grandi città, come mostra la nascita di un forte movimento rivendicativo di associazioni di inquilini e di organizzazioni per il diritto alla casa.
Dopo il 2008 si è infatti allargato l’ambito dei soggetti a rischio, si sono fragilizzate anche figure che appartenevano teoricamente a un universo di stabilizzati, di persone che avevano contratto mutui, e che si sono viste portare via l’abitazione di residenza per l’impossibilità di reggere il pagamento delle rate. Il numero degli sfratti per morosità “incolpevole” si è moltiplicato, mettendo potenzialmente in strada una fetta consistente di abitanti delle città che pensavano di avere risolto la loro situazione abitativa.
In Italia, come risultato della contrazione dei redditi e dell’aumento dei prezzi degli alloggi, è da tempo diventato sempre più difficile, soprattutto per le generazioni del lavoro precario, accedere all’abitazione come proprietari, mentre un mercato dell’affitto, ormai estremamente ridotto, non riesce più a fare fronte a una domanda in espansione e con caratteristiche diverse dal passato. La problematica degli sfratti giunge dunque da lontano, e i queruli richiami ai furbetti non possono far passare inosservato un trend di crescita che dura ininterrotto da più di un decennio, e ha toccato il suo massimo nel 2016 con oltre 160mila provvedimenti di sfratto. Ma anche negli anni successivi non è andata molto meglio: quando, nell’aprile del 2020, è stato decretato il blocco, gli sfratti in corso erano oltre centomila. Non sembra perciò questo il momento più adatto a rendere esecutivi sfratti su di una scala così vasta – anche perché forse andrebbe tenuto conto del fatto che una condizione di precarietà abitativa fa crescere di oltre il 40% la possibilità di contrarre il virus, come ha mostrato uno studio recente in Germania, i cui risultati sono stati sintetizzati su di un numero del Tagesspiegel di fine marzo.
La pandemia ha quindi solo esasperato una situazione che era già compromessa, e cui non pare costituire una soluzione anche solo parziale l’introduzione di mutui garantiti dallo Stato per giovani sotto i trentasei anni che volessero acquistare casa. Il provvedimento, anch’esso previsto dal Decreto sostegni bis, pur riconoscendo alcuni aspetti della emergenza abitativa, come commentava Gaetano Lamanna sul manifesto del 5 maggio, si inserisce nella consolidata e pigra strategia “proprietarista”, che appare ormai ovunque in crisi. Solo rendendosi conto della gravità di una questione strutturale – e favorendo una riapertura delle stagioni dell’affitto e un rilancio della edilizia popolare –, si può pensare di porre un argine a una stagione di espulsioni in cui tendenzialmente la “selvaggina” da sfrattare non potrà che aumentare, con conseguenze sociali e politiche non facili da valutare.