Scoperta: le restrizioni fanno bene all’ambiente. Sarà forse come scoprire l’acqua calda, ma è certo che, dati Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) alla mano, in Italia nel 2020 la diminuzione delle emissioni di gas serra è stata quasi del 10% rispetto al 2019 – e questo soprattutto per le limitazioni imposte alla mobilità. Se si considera che il lockdown nazionale, tra i mesi di marzo e aprile dell’anno scorso, fu l’unico momento di autentico stop, se ne deduce che sarebbero sufficienti sessanta giorni all’anno, e anche meno, per far decrescere sensibilmente le emissioni di gas serra. Poiché un anno è fatto di cinquantadue settimane (o in certi casi di cinquantatré), basterebbe un lockdown – fatto seriamente – di un giorno alla settimana, o di due giorni a settimane alterne, per ottenere un significativo abbassamento dei valori dell’inquinamento ambientale.
Lo sappiamo, è una proposta paradossale, perfino scandalosa quando si pensi che le restrizioni risultano insopportabili ai più. E però come altro fare? In materia di ambiente, bisogna correre ai ripari. Ciò che la pandemia ha mostrato, d’altronde, è che le ragioni del profitto e del consumo possono e devono essere messe da parte quando si tratti della salute pubblica; e anche l’indiscutibile “libertà personale” diventa poca cosa di fronte ai rischi di malattia e di morte. Rovesciando l’argomento libertario – o presunto tale –, non è la cosiddetta nuda vita quella a cui ci inchioderebbero le restrizioni, ma è del suo rivestimento pseudo-eroico ciò di cui ci sbarazziamo quando ci fermiamo e indossiamo i panni più dimessi delle creature sgomente. Indubbiamente, “eroismo” può essere tanto l’esaltazione dello spirito bellico, poniamo, quanto quello di una vita sulla cresta dell’onda di un consumismo sfrenato, o ancora quello più nobile della partecipazione all’arena pubblica (appare evidente che non soltanto le “gite fuori porta” subirebbero qualche limitazione, ma la stessa possibilità di prendere parte alle manifestazioni politiche o alla celebrazione di date importanti come il 25 aprile e il primo maggio). E tuttavia non è il caso di sottilizzare. La questione ambientale va affrontata con misure di lunga lena – come l’adozione, il più possibile, di energie rinnovabili e, più in generale, con forme di economia basate sul riciclo –, ma anche con provvedimenti di corto respiro, cioè con interventi urgenti.
Di recente, nel corso di un incontro online, Damiano Di Simine, esponente di Legambiente, ci spiegava che il modello della salute al quale dovremmo riferirci è quello riassumibile nello slogan one health, intendendo con ciò che la medicina umana e quella veterinaria dovrebbero essere tutt’uno e andrebbero tra loro integrate. La deforestazione, lo sterminio dei predatori hanno reso possibile, oggi più di ieri, il famoso “salto di specie” dei virus: perché, con animali un tempo esclusivamente selvatici, siamo ormai a contatto. Si può dire che il 75% delle malattie infettive nel mondo è di origine “zoonotica”, arriva cioè dagli animali o passa attraverso questi ultimi. Se un dato del genere va preso per buono, allora non si comprende come si possa continuare a non fare nulla in fatto di prevenzione. Negli Stati Uniti, per esempio (che, come si sa, sono stati in certi momenti travolti dalla pandemia), il 98% delle spese sanitarie se ne va per le cure e soltanto il 2% per la prevenzione.
Ora, rapidità di interventi, quindi eventuale adozione di misure restrittive, significa appunto fare prevenzione. Come va lamentato che, nel ventunesimo secolo, le persone siano lasciate prive di protezione dinanzi a malattie potenzialmente devastanti (è noto che l’anno scorso non soltanto l’Italia ma nessun paese aveva un piano organizzato per far fronte all’esplosione di una pandemia, e che perfino il personale sanitario era a corto di dispositivi protettivi), allo stesso modo va sottolineato che, senza delle restrizioni, una difesa preliminare della salute e dell’ambiente non può essere efficace. Per fare ancora un esempio, la situazione creatasi nella pianura padana, con gli allevamenti intensivi e altamente inquinanti, è qualcosa su cui sarebbe il caso d’intervenire urgentemente con un provvedimento che limiti a un determinato numero di capi, tenuti in condizioni sanitarie ottimali, l’attività delle imprese zootecniche.
Nell’insieme, è dunque un piccolo “libro dei sogni”, quello a cui ispirarsi circa la questione ambientale. Sappiamo che sarà molto difficile, ma vale la pena di provare a battersi, mettendo in campo tutte le forze culturali e politiche disponibili, affinché si affermi nel senso comune il concetto che non soltanto “non ci si salva da soli”, ma che neppure ci si può salvare, dopo una pandemia, seguitando a vivere come si viveva prima.