Una villa in Sardegna, un nome famoso, sesso e notizie. Ma non c’è Berlusconi, e stavolta il denaro non media l’uso del corpo. Una ragazza denuncia uno stupro, il padre di uno degli accusati prende le difese del figlio.
Il padre è un uomo di spettacolo e un capo politico. Dice che i magistrati hanno sbagliato, ma il vero bersaglio non è la magistratura, è la denunciante: non è vero, non c’è nulla, anzi sì ma era consenziente. Chi denuncia parla troppo presto, troppo tardi, sempre troppo. Se i giudici dispongono la cattura sono prevenuti e questo dimostra l’innocenza. Se l’accusato resta libero, anche questo dimostra l’innocenza. La logica è del tutto fantasmatica, ma non importa. Persino il corpo dell’accusato è manipolato, a suo beneficio. Se è in catene fa pena (Dominique Strauss-Kahn in manette), se è florido rassicura: compatimento e invidia sono tecniche di solidarietà. A conclusioni prestabilite si può arrivare per strade diverse, anche opposte; anzi, meglio se opposte, il pensiero magico affascina perché disorienta.
Giustizialismo e garantismo, specialmente se urlati e sincopati, sono intercambiabili, in una versione negazionista e rovesciata della caccia alle streghe. La strega grida sotto tortura? Dunque, il sabba è vero. La strega non grida? È chiaro: il Diavolo la protegge.
Per vedere Beppe Grillo – colori pastello, una finestra sulla campagna (ed ecco un’altra villa) – con le grida e i pugni sul tavolo, bisogna superare un senso di mortificazione, sopportare la violenza simbolica di una destrutturazione. In poco più di un minuto ci sono i soliti argomenti. E poi, la ragazza dopo l’accaduto ha fatto sport (le vittime invece soffrono, si macerano). La gioventù assolve (ma non giustifica una denuncia rimandata). L’arresto viene quasi invocato dal padre, vorrebbe portare il figlio in carcere “a calci nel culo”; il linguaggio cerca vicinanza. Ancora manipolazione dei corpi: “quattro coglioni”, stavano “col pisello così”.
I commenti del mondo politico e giornalistico sono fatti di cerchiobottismo, attendismo, chiose di genere, teorie cospirazioniste. Anche l’arresto di Strauss-Kahn fu seguito da complottismo; anche lì il sesso era certo e la donna fu accusata di mentire.
Rinfacciare a Grillo e alla sua forza politica l’incoerenza sarebbe troppo semplice, ingeneroso? Per me sarebbe eludere il problema. L’innocentismo e il colpevolismo sono legati e possono condizionare – a seconda dei casi della vita – l’orientamento di un comico entrato in politica, le manovre di un padrone di televisioni col tic delle ragazze a pagamento, o le scelte editoriali di Luca Palamara affiancate dal giornalismo di destra.
Che la violenza possa indurre al silenzio, in proporzione alla gravità, è ovvio. C’è chi ha denunciato reati sessuali dopo decenni, chi ha parlato dei Lager dopo mezzo secolo. Ma la questione è più profonda, e forzando questi paragoni fuori misura si può intravedere qualcosa.
È stato osservato che chi nega lo sterminio degli ebrei esige testimonianze mai abbastanza vicine alla camera a gas, quindi vuole metterci il testimone dentro, vuole uccidere. Forse chi nega la violenza perché non è stata subito denunciata vuole la prosecuzione del contesto, del sesso: si divertivano, facevano sport. L’intervallo tra il fatto e la denuncia deve essere colmato: se non lo riempie un trauma non comprensibile, non accessibile, allora va riempito rifacendo. Ma che cosa, e poi: chi vuole rifare? Indirettamente è il padre a lasciare una traccia inconsapevole, un riflesso in uno specchio scuro, quando conclude: arrestate me, perché ci vado io, in galera. Ma anche così, troppo facile.
Nulla esclude che gli accusatori possano esprimere, in fondo, una soddisfazione per ciò che altri fanno, ciò che i padri difendono. Sulla Grande guerra, Harold Lasswell scrive: “Una giovane donna, stuprata dal nemico, suscita una segreta soddisfazione in una massa di stupratori per delega dall’altra parte del fronte”. Qui l’accusato è figlio di un capo, di un garante. Anche il contesto di benessere, ville e fama rende appetibile una storia da cui una giovanissima esce ferita. Eppure lei sbiadisce, ridotta a cosa mediatica.
Esistono scorciatoie? Ero da poco tempo in magistratura e, di fronte al modo di trattare le violenze sulle donne, riflettevo su un eventuale obbligo di avere almeno una magistrata nel collegio giudicante. I commenti di una collega su un caso di stupro mi riportarono alla realtà. In questi giorni, certe chiose di donne nel giornalismo e in politica sono sconcertanti: il capro espiatorio può essere femmina, la sacerdotessa del rito anche. Verità e giustizia non hanno corsie privilegiate.
Da rivedere, il documentario Processo per stupro, su un caso a Latina negli anni Settanta. La registrazione in aula, una novità, fece luce sulla violenza di prima e di dopo. Il processo per stupro si svelò uno stupro per processo. Lo smascheramento successivo è quello della società dello spettacolo digitale, di Internet, con lo stupro per news.
Nel processo di Latina i diversivi erano affidati ai difensori. Un avvocato: “La violenza è nient’altro che una voglia insana e demoniaca di calpestare il proprio simile, un altro essere umano. E non c’è quasi mai il desiderio, non c’è quasi mai il piacere. Noi abbiamo fatto il processo del Circeo, e che abbiamo scopato [sic]? Lì c’è una violenza sessuale chiarissima”. Il lapsus intuisce il lavoro giuridico come continuazione della realtà con altri mezzi: buona pista da seguire. Ora che attività giudiziaria e comunicazione digitale rifluiscono l’una nell’altra, l’approfondimento vuole che entrambe siano decodificate.
Però. Anche questa ricerca dei lati in ombra e delle tracce, adesso, ha qualcosa di irrisolto, di posticcio, perché una società in cui il sesso è distorto e la parola è deformata – le due cose sono inseparabili – non lascia nulla di pulito. Da ricordare: il caso del Circeo fu un altro stupro, con assassinio (in un’altra villa, al mare), su cui scrisse Pier Paolo Pasolini. Aveva capito che la devastazione della condizione umana non era più una prerogativa della borghesia.
Grillo invoca un video come prova dell’innocenza, l’avvocato della denunciante dice che dimostra il reato. Un video non basta a capire, e neanche il video di Grillo basta a rendersi conto di come adesso, nell’era della glaciazione morale, la violenza rituale sia una mise en abîme, un rimando fra i corpi e le immagini.