Un blackout durato ventiquattr’ore. Tanto ci ha messo, all’incirca, Giuseppe Conte a prendersi le sue responsabilità da leader in pectore del Movimento 5 Stelle e “smarcarsi” (come hanno titolato quasi all’unisono molti quotidiani) da Beppe Grillo e dal suo video-invettiva sul caso del figlio indagato per stupro. Pur con parole di comprensione umana verso “l’angoscia” familiare del fondatore e garante dei 5 Stelle, l’uomo che gli ha chiesto di guidarne la rifondazione, l’ex presidente del Consiglio ha riposizionato il Movimento sui due principi cardine devastati nel messaggio del suo sponsor politico: il rispetto per la presunta vittima e quello per la magistratura. Per la ragazza che ha denunciato le violenze, che ha diritto quanto i potenziali imputati ad affrontare il processo senza subire aggressioni e condanne mediatiche: “Non possiamo trascurare che in questa vicenda ci sono anche altre persone, che vanno protette e i cui sentimenti vanno assolutamente rispettati”, e che ha diritto a denunciare entro un anno dal fatto, in forza della legge sul cosiddetto Codice rosso (approvata, peraltro, nel 2019 con il M5S al governo), che ha raddoppiato il tempo a disposizione delle vittime. E per il procedimento in corso a carico di Ciro Grillo e dei suoi amici, perché “l’autonomia e il lavoro della magistratura devono essere sempre rispettati”.
Nei gruppi parlamentari M5S, per una notte e un giorno, il nervosismo è cresciuto con il prolungarsi del silenzio del leader in pectore. Ma cosa è successo in quelle ventiquattr’ore? Che ricaduta ha avuto quel video, mentre Luigi Di Maio si rifugiava nei suoi impegni ministeriali, Roberto Fico si faceva scudo dei suoi doveri istituzionali, Alfonso Bonafede allargava le braccia e si cuciva la bocca davanti ai cronisti che lo incrociavano alla Camera? Cosa ci racconta quella lentezza nella reazione di Conte rispetto alla situazione interna del M5S, che resta il principale gruppo presente in parlamento, nonostante addii ed espulsioni? Eppure, a parte Paola Taverna, una delle fedelissime storiche, che ha provato maldestramente a prendersela con le “speculazioni da sciacalli”, non sono mancate le prese di distanza, soprattutto – ma non solo – da parte di donne elette nei 5 Stelle. In molti casi, una critica pubblica diretta al fondatore e storico leader carismatico del Movimento, ha rappresentato una prima assoluta. Ancor più significativa, in qualche caso, se è vero che Grillo, come raccontano a Montecitorio, ha chiesto sostegno e comprensione telefonando direttamente ad alcuni dei suoi. Contemporaneamente, Conte – su questo le fonti sono concordi – è stato tempestato di messaggi che gli chiedevano di parlare, di correggere, di lavare l’onta e di sottrarre il Movimento dall’imbarazzo. Imbarazzo che nei talk show e nelle aule di Camera (soprattutto) e Senato (molto meno) si è trasformato anche in un assedio polemico da parte di quasi tutte le forze politiche.
Certo, l’assedio ha avuto anche aspetti paradossali, perché condotto, fra gli altri, anche dagli estimatori del rinascimento saudita o da chi governa con Draghi ma non disdegna talora di andare in piazza con Casapound. Ma il caso ha posto due problemi cruciali per il M5S: di identità politica e di leadership. Per l’identità politica la ferita resta aperta: la difficoltà evidenziata nello stigmatizzare lo sfondone politico del fondatore su un tema così delicato lascia una macchia che la nuova stagione politica, se mai vedrà la luce, dovrà lavare. Per la leadership l’incidente politico esploso col video di Grillo rappresenta un indebolimento doppio: non è un caso che nessuno dei big abbia aperto la strada, facilitato il compito di Conte. Il primo fattore di debolezza è il messaggio che il silenzio di Di Maio e compagnia gli ha recapitato: se vuole dirigere un “partito”, al quale per ora non è nemmeno iscritto, se la deve cavare da solo, magari decidendosi a trovare qualche consigliere di maggior spessore, nelle scelte politiche e nella comunicazione. Troncare, sopire e democristianamente rinviare non funziona più. Il secondo fattore di debolezza è rappresentato dalla persona del garante del M5S: ormai la permanenza “informale” di Grillo ai vertici del Movimento, anche se chi ancora lo frequenta garantisce che “non decide più lui”, è un nodo che se non dovesse essere sciolto in modo chiaro farà di Conte un leader dimezzato. E se oggi nessuno tratta a nome del Movimento sulle candidature per i sindaci delle grandi città perché manca una leadership legittimata, domani forse nessuno vorrà trattare con il cavallo azzoppato: tutti preferiranno aspettare il suo ritiro (e quello del M5S) dalla corsa.