Pd e 5 Stelle, innamoramento obbligato. Sembra uno di quei matrimoni concertati a freddo, quando si scommette sul fatto che l’amore verrà dopo, una volta che consuetudine e stima reciproca avranno preso il sopravvento sulla scelta nuziale.
A rendere inevitabile questo rapporto sono tuttavia l’esperienza comune del governo Conte e i sondaggi. I grillini hanno imparato che, senza alleanze e “patti”, non si governa. Hanno pure imparato dal vivo come la destra italiana non sia addomesticabile. Esaurita la spinta propulsiva antisistema, populista e antipolitica, i 5 Stelle hanno poche alternative nel loro futuro: dividersi da Casaleggio & Rousseau, oltre che dal fronte dei Di Battista, e tentare di diventare una forza collocata nel centrosinistra. Devono però fare una riconversione politica totale dando a Giuseppe Conte il ruolo della leadership e confidando nella sua popolarità acquisita da premier. Dalle prime uscite di Conte in veste di leader, non è infatti ancora chiara l’identità che il Movimento vuole assumere. Al di là della collocazione nel centrosinistra, quale sarà il suo apporto peculiare in un’alleanza che si ricandida al governo? Cosa diventeranno i 5 Stelle è difficile dirlo.
I sondaggi, per quello che valgono, parlano tuttavia chiaro. Il Pd si attesta per ora sotto il 20 per cento, più o meno lo stesso vale per i 5 Stelle che hanno il traino di un eventuale Conte candidato premier (un plusvalore però solo nell’immediato). Senza una convergenza tra Pd e 5 Stelle, non c’è la massa critica per tentare di allargare l’alleanza e vincere le elezioni, quando ci saranno (stesso discorso vale per le prossime scadenze elettorali nelle città: da Roma a Napoli, da Milano ad altre). Un sondaggio Ipsos per La7 di questa settimana indica addirittura che le chance del centrosinistra aumentano in caso di mancato accordo con Italia Viva (40,6 rispetto al 30,7), a dimostrazione che aver chiesto e ottenuto la testa del governo Conte pesa come un macigno nei rapporti reciproci e di credibilità. In base allo stesso sondaggio, il centrodestra resta quasi irraggiungibile al 47 per cento.
Sulla carta, quindi, l’innamoramento-matrimonio tra Pd e 5 Stelle è obbligato, con tutti i rischi che comporta un connubio politico in caso di divorzio. La sinistra fuori dal Pd (Articolo Uno, Sinistra italiana, eccetera) non ha dimensioni elettorali e politiche da poter essere una alternativa strategica: possono solo collocarsi nell’alleanza con il loro peso politico relativo. Andrebbe usato perciò il tempo che resta fino a nuove elezioni per cementare idee, programmi, interlocutori sociali, mentre il governo Draghi opera fino a quando sarà possibile e conducendo la lotta senza quartiere contro la pandemia, condizione per il ritorno alla normalità non solo economica bensì politica.
Il difficile incontro tra Letta e Renzi dei giorni scorsi (dissapori per le note vicende di avvicendamento al governo avvenute sette anni fa) è stato rivelatore che Italia Viva non farà parte del futuro centrosinistra, se ci sarà. Entrambi i leader sostengono l’esecutivo Draghi, ma con prospettive differenti. Letta conferma dialogo e unità con i grillini, Renzi guarda solo al “centro” dove ci sono Forza Italia, Azione, Più Europa e forze disperse. Se il Pd seguisse Renzi, la sconfitta sarebbe sicura. Evidentemente a Renzi interessa soprattutto conquistarsi una collocazione da leader centrista.
Avvertenza finale. Questi discorsi sulle prospettive in corso d’opera sono resi più nebulosi dall’assenza di una legge elettorale che faccia i conti con l’avvenuto taglio dei parlamentari. Il Pd vorrebbe una norma che incentivi le coalizioni, con leggero premio di maggioranza per assicurare la governabilità di legislatura risolvendo il tema della rappresentanza con un mix tra maggioritario e proporzionale (come nella vecchia legge Mattarella). Molti invocano invece il “proporzionale puro” contro la propria scomparsa. Aver ceduto ai grillini sul taglio dei parlamentari, senza pensare alle alternative, è stato uno degli errori del Pd a guida Zingaretti.
La ricostruzione di un campo di forze alternativo alla destra di Salvini e Meloni non è compito facile. Lo stesso Enrico Letta ha parlato di rifondazione del proprio partito. Il terreno da arare, però, è pieno di contraddizioni.