Questa Pasqua 2021, come quella dell’anno scorso, ci vede ancora in piena pandemia. Mai avremmo immaginato di dover vivere una catastrofe del genere e così prolungata. Tuttavia, com’è stato detto e ripetuto da molti, forte è l’auspicio, la speranza, di potere uscire dalla spaventosa esperienza non identici ma in un certo senso migliori. Continueremo a produrre e consumare nello stesso modo di prima? O si farà strada l’idea che cambiare è possibile e necessario?
Gli spunti teorici e anche politici per mirare a una trasformazione profonda della nostra forma di vita ci sono già, e sono molteplici. Alcuni di questi si possono trovare negli articoli di questa piccola impresa editoriale che dura da due mesi. Li abbiamo riassunti con le parole socialismo ed ecologia, con le quali indichiamo la ripresa di un discorso critico intorno al capitalismo e la costruzione di un’alternativa, al tempo stesso “dall’alto” e “dal basso”, imperniata cioè su un “pubblico” non meramente statale, come quello che abbiamo conosciuto nel passato novecentesco, ma intrecciato con la difesa e la gestione – anche nel senso dell’autogestione – dei “beni comuni”, di contro all’opera di colonizzazione da parte del “privato” e del mercato. La battaglia per un intervento pubblico nell’economia – che, a causa dei danni provocati dall’epidemia, è già in atto – passa oggi per una riqualificazione del progetto europeo. Il primo augurio, dunque, è che l’Europa non torni mai più a essere quella che abbiamo conosciuto negli scorsi anni. Una sua integrazione in senso federalistico appare ormai una necessità, se si vogliono impostare politiche redistributive degne del nome, incentrate cioè su una fiscalità comune di tutta la zona della moneta unica.
Il secondo augurio che ci sentiamo di rivolgere è alla Chiesa cattolica nel suo insieme: che possa rinnovarsi in maniera durevole, ritrovando l’essenziale del suo spirito profetico, con la guida di Bergoglio, il papa venuto dal Sudamerica e dalle tremende contraddizioni di quelle terre, che ieri il nostro Riccardo Cristiano nel suo editoriale salutava come il “testimone” per eccellenza. Anche noi vorremmo essere anzitutto testimoni: se non testimoni di una fede che magari non abbiamo, almeno del nostro tempo e delle sue storture. Ci sentiamo dunque in sintonia con questo papa e continueremo a dedicargli tutta l’attenzione che merita, con la stima e l’affetto che, ai nostri occhi, si è conquistato sul campo.
Un terzo augurio vogliamo indirizzarlo a Mario Draghi. Sappiamo che si trova al vertice di un governo composito, frutto di un’operazione politico-parlamentare voluta da un piccolo avventuriero e da forti interessi economici che mal sopportavano di non poter dire la loro nella suddivisione dei fondi europei. Anche noi ci facciamo interpreti, per piccoli che siamo, della speranza di un’uscita rapida dalla emergenza sanitaria – o almeno dai suoi aspetti più terribili come il numero quotidiano delle terapie intensive e dei decessi – attraverso la doppia strategia della campagna vaccinale e del contenimento dei contagi mediante misure di restrizione. Non possiamo dirci però soddisfatti di come stanno andando le cose: se i ritardi nelle consegne dei vaccini non sono responsabilità del governo (ma, ahinoi, di una debolezza dell’Europa nei suoi rapporti con le multinazionali farmaceutiche), dipendono però dall’esecutivo le misure tardive e un po’ all’acqua di rose che sono state prese. Non esitiamo a sostenere la necessità di restrizioni e controlli maggiori, soprattutto nei luoghi di lavoro, arrivando anche alla chiusura temporanea delle attività produttive dove il distanziamento tra le lavoratrici e i lavoratori sia impossibile. Affidarsi, un po’ miracolisticamente, ai vaccini e all’uso delle mascherine non sembra che stia producendo gli effetti desiderati con la rapidità necessaria. In questo mese di aprile e nel prossimo maggio ci vorrà un impegno rafforzato nella lotta alla pandemia.
Il nostro quarto augurio va alle forze politiche che dovrebbero comporre un nuovo centrosinistra e che, per la verità, neppure si sa ancora con precisione quali sarebbero. Tra queste il Pd, certamente, su cui però non nascondiamo tutti i dubbi che nascono da un’acclarata irriformabilità, dovuta – come sosteneva Aldo Garzia nel suo ultimo editoriale – alla sua stessa nascita spuria, che ebbe la pretesa di mettere insieme il centro e la sinistra in un unico partito, nel mezzo, peraltro, di un insensato innamoramento della parte maggioritaria di quest’ultima per quella versione del neoliberismo, di marca blairiana, che fu detta “terza via”. Comunque a questo partito, e poi ai 5 Stelle di cui non siamo mai stati dei fan, va il nostro auspicio per la costruzione di un programma di governo in grado di competere alle prossime elezioni con una destra estrema così in alto nei sondaggi da preoccuparci non poco. Non ci sfugge, del resto, come ricordava l’amico Antonio Tricomi nel suo intervento apparso ieri, che la semplice ingegneria elettorale non basta. E tuttavia c’è da temere che non riesca neanche questa: perciò auguri, nonostante tutto, a Enrico Letta e a Giuseppe Conte.
Un quinto augurio è rivolto ai sindacati, che vorremmo più battaglieri in questo momento così difficile. Una volta di più, con le lotte dei ciclofattorini e il loro successo, i fatti hanno dimostrato che le lotte pagano. Va ripreso il discorso sulla importanza del conflitto sociale non soltanto per il socialismo ma per la stessa democrazia. I sindacati hanno da affrontare l’enorme problema della disoccupazione, che si porrà a breve, e devono poter dire la loro nella ripartizione dei fondi europei. Ciò dovrà passare probabilmente attraverso un periodo di scioperi e agitazioni.
Si potrebbe continuare con la lista degli auguri, ma forse è meglio fermarsi qui. L’indispensabile sesto augurio lo dobbiamo ai nostri venticinque lettori e quindi, indirettamente, a noi stessi. Ci siamo dati un tempo di circa due anni per capire se questo nostro giornale può funzionare come organo di informazione e formazione sui temi che ci sono cari. Saremo fedeli a questo impegno. Nella speranza che i nostri, a loro volta, fedeli venticinque lettori diventino a poco a poco cinquanta, settantacinque e poi, chissà, un centinaio, un migliaio…