Sull’aia grande di un villaggio della minoranza etnica Pu-yi nella Cina meridionale, a cinquecento km in linea d’aria da Hanoi, mi ero staccato dal gruppo di rappresentanza durante la cerimonia ufficiale per il nostro arrivo, e mi ero messo al riparo di un alberello per sfuggire al sole battente. Un vecchio si avvicinò, intimidito dall’ospite straniero, ma quando gli sorrisi mi chiese a gesti una sigaretta. Gli allungai il pacchetto di Yu-Xi dal costo di circa due euro e prese la sigaretta come un tesoro. L’interprete mi disse: “Qui non se le possono permettere. Nonostante sia zona di produzione del tabacco, i contadini fumano la classica foglia arrotolata. Il reddito pro-capite è sui duecento euro l’anno e il denaro gli serve per comprare sementi e attrezzi agricoli”.
La situazione d’altro canto era chiara: nelle case che visitavamo per il nostro workshop internazionale sull’abbandono dei villaggi non si trovavano che rarissimi oggetti di plastica e metallo, buona parte delle attrezzature delle abitazioni e degli utensili del lavoro agricolo era realizzata con legno e pietra. Enormi pietre pazientemente scavate a mano costituivano anche gli abbeveratoi degli animali, mentre dal bambù veniva ricavata una quantità enorme di oggetti e di mobili di uso domestico.
La campagna intorno era bella, fertile, organizzata minuziosamente come un giardino secondo gli antichi principi del feng-shui. Un modo di vita rimasto a lungo immutato ma che appariva ormai seriamente minacciato: i giovani fuggiti verso le città, i campi certo ancora ben coltivati, ma principalmente per lo sforzo degli anziani rimasti. Nei villaggi non c’era fame, pur essendo il reddito inferiore alla fatidica soglia di un dollaro al giorno che definisce secondo gli organismi internazionali la povertà assoluta; le mense erano caratterizzate da un’evidente varietà e da una relativa abbondanza di alimenti. Tra i villaggi della zona vigevano ancora sistemi di scambio non monetario, in natura, che assicuravano la circolazione di numerosi prodotti agricoli. La povertà consisteva nella difficoltà di avere accesso ai beni di consumo, dovuta al fatto che le produzioni locali per il mercato, limitate all’incenso e al tabacco, non garantivano che redditi minimi.
Per collocare meglio il senso di questo ricordo personale, va richiamato che la Cina contemporanea è caratterizzata da vistosi squilibri territoriali. Rottasi l’artificiale distribuzione “pianificata” della popolazione tra zone urbane e zone rurali a lungo propugnata dal maoismo, negli ultimi anni il paese ha visto una crescita vertiginosa delle città a scapito delle campagne. Una crescita anomala, senza precedenti nella storia urbana del pianeta, in cui città da milioni di abitanti sono spuntate dovunque, anche in aree in cui per millenni non vi era stata una tradizione urbana degna di nota. Ma a questa crescita per molti versi incontrollata ha fatto da contraltare uno spopolamento delle campagne.
Le nuove scintillanti metropoli cinesi conoscono un triste effetto di contrasto nell’abbandono e nella desertificazione delle campagne. Non si spopolano solo o principalmente località marginali o remote, paesini montani come è accaduto per esempio con le diverse ondate di urbanizzazione e industrializzazione in Europa; in Cina spariscono completamente luoghi che sono stati abitati per millenni, ci sono piccoli comuni in cui sono rimasti solo anziani e bambini perché tutti gli adulti sono emigrati verso le città. Quando invece i villaggi sono situati in luoghi particolarmente ameni o in posizioni che li rendono interessanti per gli appetiti del real estate il loro destino è frequentemente quello di venire “rinnovati” e trasformati in suburbs all’americana, destinati a soddisfare le esigenze estetiche di ceti medio-alti alla ricerca di soluzioni abitative diverse dai monotoni palazzoni che caratterizzano la maggioranza delle grandi città cinesi.
A pochi chilometri dalle zone su cui lavoravamo per il nostro workshop si poteva già incrociare la Cina nuova. Grandi arterie viarie organizzano il territorio, reti infrastrutturali che hanno una diffusione capillare e che permettono (pare anche per ragioni militari) di raggiungere comodamente anche realtà remote. Le strade, anche quelle minori, sono pulitissime e ben asfaltate, corrono attraverso la campagna verso le città, interrotte solo da “nodi” o “punti” come li chiamano qui, curiosi insediamenti che nascono spesso all’incrocio tra le infrastrutture della viabilità: gruppi di costruzioni alte, spesso discutibili dal punto di vista delle architetture, che interrompono il monotono scorrere dei nastri d’asfalto. Svolgono la funzione di fornire alcuni servizi “urbani”, pur non arrivando a costituire una vera e propria forma di città. Sono abitazioni per amministratori, funzionari, tecnici, costruttori che lavorano nella zona. Al piano terra ci sono negozi, che sovente vendono più o meno le medesime merci: mobili per i nuovi abitanti, piastrelle, intervallati a piccoli ristoranti, a rivendite di generi di prima necessità. In buona parte gli edifici sono vuoti, l’affare per la potentissima lobby dei costruttori consiste nel realizzarli, oltre che nel venderli. I prezzi sono altissimi per una zona “sottosviluppata” come quella in cui mi sono trovato a fare ricerca: si parla di appartamenti in vendita a duemila dollari al metro quadro, e solo alti funzionari, imprenditori e nouveaux riches di varia origine se li possono permettere.
Nei “nodi” semiurbani la vita scorre con ritmi e modalità completamente diversi dalle campagne circostanti, e i contadini spesso appaiono impreparati ad affrontarla. Mi ha molto colpito per esempio vedere che la funzione svolta dai semafori è pressoché ignorata dai più anziani, che attraversano, anche con carichi pesanti sulle spalle, superstrade a tre-quattro corsie senza fare caso al colore segnalato e spesso neppure alle auto che arrivano. Gli incidenti stradali sono frequentissimi e agli angoli delle strade ci sono manifesti grandguignoleschi affissi dalle autorità, con immagini agghiaccianti di vittime che ricordano l’importanza di rispettare le regole del traffico e i pericoli connessi al trascurare le indicazioni.
In questo peculiare pezzo di Cina coesistono dunque moderno e antico in maniera così stridente da raggiungere risultati tragicomici, con immagini che sarebbero piaciute a Federico Fellini: si possono vedere circolare al medesimo tempo Suv modernissimi e carretti di legno malandati trainati da cavalli; a cinquecento metri dai palazzi dei “nodi” si incontrano bambini scalzi, figure malandate e sporche, vecchi che fumano le pipe tradizionali di bambù, storpi, come capita di vedere solo in realtà del Terzo mondo. Se è indubbiamente vero che la Cina ha eliminato la povertà urbana e che per molti versi è ormai tecnologicamente più avanzata dell’Europa, è anche vero che nel suo antico cuore rurale rimangono problemi sociali, territoriali e ambientali estremamente complessi da risolvere.