È stato un battesimo. La prima volta dei lavoratori italiani di Amazon, la multinazionale di Seattle delle consegne a domicilio che sbarcò in Italia undici anni fa, e che oggi è diventata uno dei due più grandi attori globali dell’e-commerce. Si è trattato del primo sciopero in Europa, che assume una notevole importanza sia per la novità sindacale di una mobilitazione in un settore finora esente da conflitti (visibili), sia per il peso che Amazon Italia ha in Europa. Nel nostro Paese il gruppo dei pacchi che sorridono annovera infatti ormai svariate ragioni sociali che confluiscono in una capogruppo in Lussemburgo, con tre diversi contratti nazionali applicati a una forza lavoro sparsa in varie regioni al Nord e al Sud. Il successo commerciale è stato esponenziale, ma nonostante i contratti e l’attività sindacale, il lavoratore medio di Amazon è uno degli esempi negativi delle nuove condizioni della classe lavoratrice delle piattaforme e degli algoritmi. Il primo sciopero (quello di oggi, 22 marzo) è stato indetto dai sindacati confederali dei trasporti ai quali si sono poi accodati anche altri sindacati, il Nidil Cgil, il sindacato dei precari e dei lavoratori atipici.
Una mobilitazione che non è passata inosservata sui media e naturalmente su tutta la rete web e dei social. È presto per fare un bilancio numerico della partecipazione effettiva dei lavoratori. Ma, come si sarebbe detto una volta, la mobilitazione è stata un successo pieno, anche considerando i numeri complessivi. In Italia infatti lavora più del 20% di tutti i dipendenti della multinazionale che occupa complessivamente 480mila persone. Di queste, 40mila lavorano negli stabilimenti italiani di Napoli, Udine, Roma, Firenze, Bologna, Genova, Torino e Padova. E dato che il buongiorno si vede dal mattino, a Genova sono stati bloccati i cancelli del centro logistico Amazon: oltre cento corrieri hanno partecipato al presidio indetto da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, con la solidarietà in presenza di una delegazione di metalmeccanici della Fiom Cgil.
Ma cosa chiedono i sindacati e quali sono le aspettative dei lavoratori che hanno avuto il coraggio di incrociare le braccia? Al primo posto, nella scaletta delle rivendicazioni, ci sono i carichi e i ritmi di lavoro imposti nella filiera Amazon, la contrattazione dei turni, la riduzione dell’orario di lavoro dei driver, la continuità occupazionale per tutti i lavoratori del gruppo in caso di cambio appalto o cambio fornitore, l’indennità Covid per operatività in costanza di pandemia, e premio di risultato e la stabilizzazione dei lavoratori interinali o a tempo determinato. Ed è anche riduttivo fare l’elenco dei punti della piattaforma sindacale, perché in questo caso c’è qualcosa di più. Il lavoro presso Amazon non è determinato solo dalla filosofia dei manager della multinazionale e dalla proprietà. È anche il frutto di anni di politiche liberiste che hanno dato mano libera alle aziende e mortificato il lavoro e i diritti. Una situazione che viene complicata dal contesto in cui si colloca. Quello dell’e-commerce è infatti uno di quei classici settori in cui vengono artificialmente contrapposti gli interessi e i diritti dei lavoratori e degli utenti consumatori. “Per vincere questa battaglia – hanno scritto non a caso i sindacati nelle loro note alla stampa – che non è semplicemente una battaglia sindacale, ma di civiltà, non bastano i lavoratori, serve il sostegno delle consumatrici e dei consumatori, serve l’appoggio dei cittadini, ai quali ci rivolgiamo”. E intanto si registrano le prime prese di posizione. Alla vigilia dello sciopero è stata Federconsumatori a esprimere solidarietà nei confronti dei lavoratori, e a chiedere ai cittadini un gesto simbolico.
L’identikit dei lavoratori Amazon è presto detto. Hanno contratti che scadono alla stessa velocità del suono, ritmi asfissianti, uno stipendio medio di 1.300 euro, e la stragrande maggioranza di loro non supera gli otto mesi di attività prima di finire di nuovo a casa. Il colosso americano ha quindi impostato tutto il suo modello produttivo su schemi ottocenteschi: ritmi asfissianti, turni una domenica su due e cancellazione di tutti i giorni festivi dal calendario, compresi Natale, Pasqua e Ferragosto. Una politica aziendale che incute timore e nella quale i lavoratori rischiano continuamente di essere isolati senza avere la possibilità di organizzarsi collettivamente. Anche per questo lo sciopero è una novità.
Il sindacato ovviamente non contesta il successo di Amazon e non auspica un ripiegamento. Anzi. “È importante che Amazon incrementi le proprie attività in Italia, ma non è sufficiente offrire occasioni di lavoro. Abbiamo ancora problemi insostenibili di carichi, di tempi, di eccessiva precarietà lavorativa”, ha dichiarato la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti. “In un’azienda con quel tipo di fatturato è giusto costruire un sistema di relazioni che riconosca ai lavoratori un premio di risultato e condizioni contrattate. Ossia relazioni sindacali stabili”.
Sarà interessante ora capire le reazioni del colosso del sorriso. Il primo comunicato stampa nella giornata dello sciopero è stato rassicurante soprattutto nei confronti della clientela. State tranquilli, continueremo a offrirvi il prezioso servizio di consegna che tra l’altro viene incontro alle esigenze di contrasto alla pandemia. Per ora sui diritti dei lavoratori e sull’apertura al sindacato non c’è niente, mentre una buona notizia arriva dall’Alabama dove cinquemila lavoratori Amazon stanno per votare la costituzione di una rappresentanza sindacale.