Alla Chiesa cattolica non piacciono i dubbi. Quando il papa firmò la sua Esortazione Apostolica sulla famiglia, che contiene aperture ai divorziati risposati, i cardinali tradizionalisti posero dei “dubbi”: citavano vecchi canoni per dire che c’era un dubbio e quindi un errore, e che perciò Francesco avrebbe dovuto fare marcia indietro. Bergoglio però ha sorvolato: li ha lasciati con i loro dubbi. Talvolta accade.
Oggi la Congregazione della dottrina della fede, ex Sant’Uffizio, pone a se stessa un interrogativo e risponde che le unioni “tra due persone dello stesso sesso” non possono essere benedette. Ma cosa vuol dire? Le benedizioni sono azioni liturgiche, affidate di norma anche a laici e non sacramenti, e si può capire che due anziane signore che vadano a vivere insieme per ristrettezze economiche non possano essere benedette in questa loro scelta. Questo però non viene considerato. Specificando che le persone dello stesso genere che si uniscono praticano sesso, si rende esplicito che si fa riferimento alle unioni omosessuali, che non possono essere benedette per i rapporti sessuali extra-matrimoniali che i due praticheranno. Anche se fossero sposati – dove ciò è consentito –, questo matrimonio per la Chiesa non esisterebbe. Dunque la formula è riguardosa, non parla come in passato di atti immorali, ma di atti extra-matrimoniali. Ottimo, ma allora… perché si benedicono i fidanzati che magari praticano sesso prematrimoniale, anch’esso proibito, come quello extra-matrimoniale?
Voler chiarire tutto rende a volte tutto più oscuro: il punto è il sesso extra-matrimoniale o piuttosto il pregiudizio verso gli omosessuali? La Congregazione lo nega, e infatti nella loro risposta al dubbio si afferma che si possono benedire le persone omosessuali, non le loro unioni. Anni fa sarebbe stata una rivoluzione! Oggi sembra la solita idea di pensare a persone astratte. Siamo molto lontani da quanto disse Francesco in un giorno lontano ma rimasto famoso: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?” È evidente che Francesco non si riferì a nessuna unione omosessuale, proprio come la Congregazione, ma dimostrò un chiaro interesse per le persone reali. In un certo senso potremmo dire che lui sembra seguire l’esempio del patriarca di Costantinopoli Atenagora. Dopo aver partecipato alla celebrazione di un matrimonio, accompagnò gli sposi a casa loro, poi disse: “Vi ho benedetto, vi ho accompagnato sin qui, ora mi fermo: nel vostro talamo i sacerdoti siete voi”.
Si capisce allora come la questione che oggi pongono molti preti che chiedono scusa agli omosessuali per la pronuncia della Congregazione per la dottrina della fede sia molto importante, senza precedenti. Di fatto pongono il problema della persistente omofobia, perché non benedire l’amore di un essere umano per un altro essere umano è strano. Dio non è forse amore? Il vescovo di Magonza, Peter Kohlgraf, dopo essersi chiesto se le benedizioni che ha già autorizzato dovrebbero essere annullate, ha dichiarato: “Le benedizioni sono scaturite da un accompagnamento pastorale delle persone coinvolte. Non si tratta di formule che replicano quelle matrimoniali, né c’è l’intenzione di trovare una formulazione specifica. No, non cerco una formula simile a quella matrimoniale. Chiedo di accompagnare, invece di giudicare. E chiedo di parlare con (e non su) i non pochi interessati, rimanendo al loro fianco”.
Peraltro proprio l’attuale Congregazione per la dottrina della fede ha finalmente recepito, in una sua pubblicazione ufficiale e recente, quel che in tante parrocchie di tutto il mondo si dice da decenni, e cioè che nelle Scritture si parla di distruzione di Sodoma non per la sodomia, ma perché i suoi abitanti rifiutarono la sacra ospitalità verso lo straniero.
Il documento ha prodotto reazioni pubbliche di tanti, dimostrando che nella Chiesa l’approccio a questo tema non è più unico. Ma questo, pur essendo molto importante, non coglie il punto di fondo. Il punto è quello che indicò anni fa un grande teologo, tra i veri padri del Concilio Vaticano II, poi divenuto cardinale, Yves Congar, che dell’attuale Congregazione per la dottrina della fede, al tempo ancora Sant’Uffizio, disse: “Odio la Gestapo, ovunque si trovi”. Giudizio severissimo, ma ancora insufficiente: “È la Bestia dell’Apocalisse contro cui combattere, affinché le generazioni a venire non ne subiscano il potere”. Queste parole non si leggono su riviste dell’ateismo, le pubblicò postume “Jesus”, rivista dei Paolini. Per il cardinale Congar, la curia romana, e in particolare l’allora Sant’Uffizio, è “una macchina che stritola le coscienze, isola o emargina gli spiriti liberi, condanna i creativi e premia i mediocri, incapace di rispondere alle sfide dei tempi nuovi e alle attese del popolo di Dio”.
Perché questo grande teologo si esprimeva così? “Devo fare i conti con un sistema spietato, che non può correggersi e neppure riconoscere le sue ingiustizie, e che è servito da uomini disarmanti per bontà e pietà”. Il sistema spietato è quello che non può accettare il più piccolo dubbio, finendo con l’amare la dottrina e non l’umano, perché non vede le persone ma le categorie. Per questo credo che Yves Congar esprimesse quel che aveva sostenuto, pochi anni prima, un altro gigante del pensiero cattolico, Pierre Teilhard de Chardin: “La Chiesa continuerà a declinare finché non si sottrarrà al mondo fittizio della teologia verbale, del sacramentalismo quantitativo e delle devozioni eteree di cui ama circondarsi, per tornare a incarnarsi nelle reali aspirazioni umane”.
Papa Francesco è impegnato proprio in questo: lui ha parlato tante volte dell’urgenza di superare il clericalismo. Credo che, oltre a riconoscere il ruolo dei laici nella Chiesa, voglia interrompere la tendenza ad avvicinarsi alle idee e ad allontanarsi dalla realtà. Il cammino è accidentato, come tutti i cammini umani e non ideologici.