Paese ormai pienamente laico e civile. Dopo i matrimoni gay in vigore ormai da anni, la legalizzazione dell’aborto e il divorzio breve, in Spagna arriva la legge che regolamenta l’eutanasia. Ieri è stata infatti approvata dal parlamento iberico la normativa che dovrà regolare l’eutanasia e le modalità di fine vita. Il testo iniziale era stato proposto dal Partito socialista. La ratifica definitiva è giunta in Senato: 202 voti favorevoli, 141 contrari, 2 astenuti. La legge stabilisce che le persone con una malattia grave e incurabile possano beneficiare dell’eutanasia. Per quattro volte verrà chiesto loro il consenso e si esamineranno le analisi mediche. La richiesta del fine vita dovrà essere esaminata e accolta in via finale da una commissione esaminatrice, in seguito il paziente dovrà dare il suo ultimo consenso.
Come mai in Spagna si può e in Italia no? Il nodo che spiega sta nella particolare transizione democratica seguita alla morte del caudillo Francisco Franco nel 1975, lenta e difficile come quella italiana seguita al fascismo ma con il tempo più profonda. Sul mondo cattolico spagnolo pesava il ruolo avuto nella “guerra civile” (1936-1939) tutto ripiegato nell’ufficialità fascistizzante che si contrapponeva a una sinistra repubblicana. La Chiesa era identificata con il regime. Poi, nel 1981, arrivò il tentativo di golpe del colonnello Tejero: occupazione del Congresso dei deputati, ore di terrore in tutto il paese.
Quel 1981 è una data spartiacque nella Spagna moderna e democratica. La spinta alla democratizzazione divenne più forte e radicale. Iniziò allora il fenomeno della movida, quella voglia di vivere liberi e fuori dalle regole, di fare tardi la notte e di divertirsi. È in quel momento che inizia il boom del cinema di Pedro Almodóvar, che meglio di tutti racconta la secolarizzazione di quella società: fanno la loro comparsa nei film i “diversi”, le coppie irregolari, i gay, le donne indipendenti con la loro modernizzazione di valori. Seguono dal 1982 le quattro elezioni vinte di seguito dal socialista Felipe González, il premier che fa della Spagna una realtà che si integra via via con il resto d’Europa. Chi ha visitato Madrid negli anni Ottanta, può testimoniare il salto compiuto da quella società e poi continuato fino ai nostri giorni. Con i socialisti al governo, la democrazia si era finalmente consolidata.
Nel 2005, io e Marco Calamai proponemmo al premier socialista José Luís Rodríguez Zapatero (gli spagnoli lo chiamavano già allora semplicemente “Zp”), vincitore delle elezioni politiche nel 2004, di lavorare insieme a un libro-intervista (uscì nel 2006, Il socialismo dei cittadini, editore Feltrinelli). L’11 marzo 2004 c’era stato l’attentato terroristico contro la Stazione Atocha di Madrid con 192 morti e oltre 2000 feriti. Il Partito popolare tentò di addossarne la responsabilità all’Eta (l’organizzazione separatista basca), mentre gli autori si rivelarono in seguito appartenenti a un gruppo di matrice islamica. Questo tentativo fu un autogol per la destra.
Calamai e io fummo ricevuti alla Moncloa, il palazzo del governo di Madrid. Il premier ci fece una grande impressione: disponibile, cortese, incuriosito dal dibattito della sinistra italiana. “Ma perché sono diventato famoso in Italia?”, ci chiese a metà della conversazione. Gli spiegammo che i suoi discorsi su laicità e diritti civili avevano affascinato la sinistra italiana disabituata a quel linguaggio. Ci ascoltò divertito, quando gli raccontammo di una canzone del comico Maurizio Crozza che ne esaltava le virtù politiche a ritmo di flamenco.
Il governo socialista di Zapatero promosse come primo atto la “legge integrale contro la violenza di genere”. Fu la prima delle riforme sui diritti civili volute da Zp. Un altro contenuto delle nuove leggi operò il recupero della memoria storica: lo sforzo di fare luce sulla “guerra civile” e il regime franchista. Zp, in seguito, seguì un programma di governo preciso: dalle nuove normative sul divorzio al matrimonio tra omosessuali; dalla legalizzazione degli immigrati alla politica estera non più subalterna agli Stati Uniti; dalla difesa della laicità dello Stato al tentativo di giungere a un accordo con le forze nazionaliste basche e catalane in modo da sancire nuovi livelli di autonomia territoriale pur nel rispetto della Costituzione democratica del 1978.
La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica era dunque cruciale nell’idea di socialismo di Zp. Socialismo mai inteso come un modello rigido, ma al contrario come processo sociale in continuo sviluppo e quindi pragmatico. “Il socialismo dei cittadini che perseguo – scrisse nella prefazione al libro mio e di Calamai – si preoccupa intensamente di cercare nuove vie di dialogo con la società e di aprire gli orizzonti della partecipazione politica. Il nuovo socialismo non teme la voce dei cittadini. La mia bussola è il rispetto integrale dei diritti, in particolare l’eguaglianza radicale tra uomini e donne, oltre alla laicità dello Stato”.
Metodo e contenuti di governo fino alla fine del suo mandato nel 2011 furono gestiti da Zp con coerenza programmatica (vinse le elezioni anche nel 2008). La sottovalutazione della terribile crisi economica che giunse proprio nel 2008 mise in crisi la politica del “socialismo dei cittadini” che aveva privilegiato i temi dei diritti civili e sociali rispetto a quelli della politica economica (qui il discorso si complica e sarebbe lungo).
Il centrodestra spagnolo tornò al governo a fine 2011 con la premiership di Mariano Rajoy. La crisi economica mise in crisi la sinistra fino all’arrivo della leadership socialista di Pedro Sánchez e del governo socialisti-Podemos che governa attualmente la Spagna. Da ieri la penisola iberica è ancora più laica e progressista con la legge approvata sul fine vita.