Jeff Bezos e i suoi non sono abituati agli scioperi. In generale non amano i sindacati e hanno qualche difficoltà di relazione con chi, come sta accadendo in queste settimane in Alabama, vuole iscriversi al sindacato e darsi una rappresentanza. Ovviamente in Italia il gruppo capitanato dal magnate della Silicon Valley è costretto spesso a fare buon viso a cattivo gioco. Ma il buon viso non basta davanti a ritmi di lavoro spesso intollerabili e a una catena d’appalti legata al mondo delle consegne e della logistica che rasenta lo sfruttamento.
È per questo motivo che per la prima volta in Italia, e sicuramente in Europa, lunedì 22 marzo i dipendenti diretti dei magazzini Amazon cui è applicato il contratto nazionale della logistica e tutti i lavoratori e le lavoratrici delle aziende di fornitura in appalto di servizi di logistica, movimentazione e distribuzione delle merci della filiera Amazon in Italia, si fermeranno per 24 ore.
Uno sciopero unitario indetto dai sindacati del settore: Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti. Per il segretario nazionale della Filt Cgil Michele De Rose si tratta di “un’iniziativa che non ha riscontro nemmeno negli Stati Uniti. La multinazionale americana deve prendere atto, suo malgrado, che il sindacato fa parte della storia del nostro Paese e con le rappresentanze dei lavoratori deve confrontarsi, nel rispetto di un sistema corretto di relazioni sindacali e delle tutele e regole previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro.”
A motivare lo stop: i carichi e i ritmi di lavoro che vengono imposti dalla multinazionale, la verifica e la contrattazione dei turni, la riduzione dell’orario dei driver, la clausola sociale per garantire continuità occupazionale in caso di cambio di appalto o fornitore, la stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori interinali e, non ultimo, il rispetto delle norme su salute e sicurezza.