Elezioni comunali a Roma della prossima primavera. Sono un macigno di difficile rimozione sulla strada dei rapporti Pd, 5 Stelle e ciò che resta di Liberi e uguali. Dopo che Beppe Grillo ha dato il suo appoggio alla ricandidatura di Virginia Raggi (“Aridaje” è lo slogan), sindaco impopolare uscente, la vicenda si è molto complicata.
In corrispondenza con il varo del governo Draghi, Pd, grillini e sinistra si erano impegnati a rinsaldare – almeno a parole – i reciproci rapporti, avendo nell’ex premier Giuseppe Conte un possibile leader di coalizione. Hanno pure costituito di recente un intergruppo parlamentare unitario. Il problema però è che i 5 Stelle si stanno sfarinando (la probabile espulsione di decine di deputati e senatori dissenzienti, la formazione di nuovi gruppi in parlamento, eccetera). Inoltre, Nicola Zingaretti ha almeno metà del suo partito convinta che tale strada sia impraticabile mentre bisognerebbe intanto unificare il “centro” con cui allearsi (Italia viva, Forza Italia, Azione, Più Europa). Nel Pd, ci sono infatti ancora tanti renziani orientati in quella direzione e altri che sono nostalgici della “vocazione maggioritaria” tanto cara a Walter Veltroni. È un bel puzzle di posizioni in collisione. A cui si aggiungono le recenti divisioni tra Sinistra italiana e Articolo uno rispetto al nuovo governo (il “no” di Fratoianni, il “sì” di Bersani & company). Dire che questa coalizione in fieri (Pd, 5 Stelle e pezzi di sinistra) non goda di buona salute è un eufemismo, neppure troppo letterario.
Le elezioni di Roma sono dunque una delle questioni da risolvere, e presto. Walter Tocci, ex vicesindaco in Campidoglio, ex parlamentare del Pd, intellettuale di prestigio, autore di recente di un libro importante (Roma come se, editore Donzelli), che sarebbe il programma ideale per i prossimi decenni della capitale, aveva avanzato una buona idea finora bocciata. Era quella di una lista civica unica che evitasse la presentazione dei simboli di partito e che partisse da un programma e un candidato unitari per sconfiggere le destre. Tra le forze in campo ha invece prevalso finora la sordità (forse anche perché la personalità in grado di fare il miracolo era proprio Tocci, indisponibile a una candidatura a sindaco). Ognuno pensa in alternativa alle proprie correnti e correntine. Ecco così che nel centrosinistra ci sono le autocandidature di Carlo Calenda (leader di Azione, deputato europeo eletto nelle liste piddine), Paolo Berdini (urbanista di valore in testa a una lista di sinistra anti Pd e anti 5 Stelle), quella probabile in casa piddina (Roberto Gualtieri?) e quella di Virginia Raggi. Insomma, un minestrone che può riportare la destra alla guida del Campidoglio.
Come uscire da questo rompicapo? Per favore, niente primarie rivelatesi strumento inefficace in pochi anni ed esaltatore di personalismi deteriori. Lo stato dell’arte, stando così le cose, consiglierebbe che ognuno al primo turno presenti un proprio candidato a sindaco con però almeno l’impegno comune a votare quello di centrosinistra che andrà al ballottaggio decisivo. Posizione di puro auspicio, considerando che gli elettorati del Pd e 5 Stelle si detestano a pelle?
Allora, si apra una discussione e si prendano iniziative sul che fare per evitare il peggio.