
Uno dei temi di attualità in queste frenetiche giornate politiche è la creazione del ministero della Transizione ecologica, annunciata da Mario Draghi durante l’incontro con le associazioni ambientaliste. Sarebbe il risultato di un forte pressing di Beppe Grillo che avrebbe ancorato all’istituzione del ministero il consenso dei 5 Stelle al governo. La questione non è nuova. Un ministero di questo genere è già presente in altri paesi europei, come la Spagna e la Francia.
La soluzione trae spunto sia dall’attuale cornice europea sia dalla particolare condizione di crisi che vive l’Italia, anche a prescindere dalla pandemia. Sotto svariati punti di vista, il Paese versa infatti in una condizione di declino: economico, sociale, politico, energetico, ambientale, istituzionale. Il modello italiano segna una vera e propria stagnazione da oltre vent’anni: non sa più quale sia la sua “missione”.
A tutto questo può essere data una prima risposta innanzitutto mediante la piena assunzione e valorizzazione, con politiche concrete e conseguenti, di quella “qualità italiana” che trae spunto da una condizione naturalistica di eccellenza (la biodiversità nel nostro Paese è ai primi posti d’Europa) e che assommata alla disponibilità del più importante patrimonio culturale del pianeta delinea scenari unici e irripetibili a livello globale.
L’Italia, per il mondo intero, resta sinonimo di eccellenza enogastronomica, stile di vita, bellezza, valorizzazione del tempo libero. Da qui il possibile significato, più accentuato che altrove, di una vera svolta ecologica per non colpire più, anzi per tutelare e valorizzare i veri e propri tesori di cui dispone il nostro – e solo il nostro – Paese. Da qui l’urgenza di essere forieri di una vocazione connaturata alla nostra storia: ogni inquinamento, ogni stabilimento o terreno da bonificare dopo decenni di abbandono, ogni impatto irragionevole, non solo produce danni alla salute, ma incide pesantemente su un altro modello possibile e valorizzabile. Un ministero che metta insieme le competenze ambientali con quelle dello sviluppo economico dovrebbe perciò assumere le nostre peculiarità naturalistiche e territoriali quali valori base da tutelare, mai più da svilire o da “compatibilizzare”.
Tre esempi concreti: energia, economia circolare, aree protette. La transizione ecologica è innanzitutto una questione energetica, tema essenziale in Italia ove le coste (e non solo, se si pensa a tutto il sistema degli approvvigionamenti via terra) recano ancora visibili le piaghe inferte dal petrolio importato in enormi quantitativi e lavorato nelle raffinerie e/o stoccato nei depositi costieri. Per non parlare del mare: il Mediterraneo è il mare più inquinato al mondo per concentrazione di idrocarburi, con effetti ancora più gravi laddove essi si sintetizzano con l’aumento di temperatura. La crisi climatica impone, inoltre, un itinerario di decarbonizzazione per concorrere agli obiettivi europei, sapendo che partiamo da due peculiari condizioni: saggiamente, da tempo, non utilizziamo il nucleare; abbiamo anticipato rispetto agli altri paesi l’eliminazione graduale del carbone, anche per il pesante inquinamento atmosferico con le conseguenti sanzioni comunitarie. Il che dovrebbe voler dire investire seriamente e radicalmente sulle energie rinnovabili, con convinzione e senza tentennamenti. Ci sarebbe la necessità di una svolta radicale in questo campo; mentre sono enormi i pruriti contrari a molte rinnovabili (all’eolico, al geotermico, al piccolo idroelettrico, in taluni casi perfino al fotovoltaico) originati spesso dai comitati locali e da un malinteso ambientalismo che, non di rado, trovano sponda proprio nei parlamentari 5 Stelle. Per non parlare, poi, dei temi posti dall’economia circolare, che mira a ridurre alla radice la produzione dei rifiuti mediante la previsione ex ante del riuso, del riciclo e del recupero dei beni utilizzati.
Tutto ciò a cui qui si è accennato vuol dire realizzare una rivoluzione copernicana circa i modi e le finalità dei beni da progettare, produrre, consumare. A tale riguardo, strumenti essenziali, di cui già l’Italia dispone, sono i criteri ambientali minimi (Cam) per le acquisizioni (acquisti e noleggi) di beni e servizi della pubblica amministrazione. Parliamo di un giro d’affari che incide tra il 10 e il 15% sul Pil nazionale: l’impiego e la piena valorizzazione dei Cam potrebbero concorrere alla definizione di una politica industriale con effetti molto consistenti nel mondo della produzione e del consumo. Anche qui i 5 Stelle – in tema di recuperi di materie dai rifiuti – non hanno dato una buona prova, a partire dalla brutta storia dell’end of waste.
Infine, c’è il problema delle aree protette che svolgono da tempo la funzione di volano dello sviluppo delle nostre aree interne, in particolare lungo l’intero Appennino e nelle isole. Nel triennio 2019-2021 il ministero dell’Ambiente sta investendo circa mezzo miliardo di euro sui parchi nazionali per concorrere allo sviluppo sostenibile dei territori interessati.
Energia, economia circolare e aree protette sono dunque esempi, tra molti altri possibili, delle potenzialità che potrebbe avere il ministero della transizione ecologica guidato da una personalità competente e credibile, con accanto spiccate professionalità della pubblica amministrazione in grado di sostenerne l’azione. Non c’è più tempo da perdere.