Di certo la sensibilità verso la crisi ecologica è aumentata molto in questi anni se lo stesso Biden ha firmato un ordine esecutivo per rientrare nell’Accordo di Parigi sul clima, revocando al tempo stesso il permesso federale all’oleodotto Keystone XL. Anche gli Stati Uniti, dunque, dopo la disastrosa parentesi Trump, promettono di raggiungere un’economia al 100% di energia pulita ed emissioni zero nette non più tardi del 2050.
Del Recovery Plan si trovano scarse (e provvisorie) notizie sui quotidiani e nei talk show dedicati alla politica. I temi trattati, in sei capitoli, sono: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.
Un piano ciclopico, afferma De Rita, “come ciclopiche sono le sue ambizioni esplicite: portare l’Italia fuori da questa crisi epocale, sulla frontiera dello sviluppo europeo, facendone un Paese più moderno, verde e coeso. I soldi per farlo ci sono, e ci sono anche i sei percorsi obbligati”[1]. Esso destina alla parte ambientale il 37% delle risorse senza peraltro accennare ai sussidi che ancora vengono elargiti per le fonti fossili e senza neppure quei provvedimenti “di adattamento ai cambiamenti climatici di cui il nostro fragile Paese ha un incredibile bisogno e che permetterebbe di fermare lo sperpero di risorse a pioggia”[2].
Tuttavia quando leggo sui quotidiani dell’obiettivo zero emissioni nel 2050 e del Green Deal Europeo e del nostro Recovery Plan (quello almeno fino ad adesso noto), a proposito di provvedimenti ecologici, mi vengono sempre in mente le parole di Gregory Bateson: il dio ecologico non può essere beffato, ovvero in ecologia non esistono scorciatoie o furbizie. Così come, restando in tema, la frase che afferma: se un fine è ecologico allora i mezzi per raggiungerlo devono essere anch’essi ecologici.
In questo articolo farò alcune riflessioni generali sull’uso della tecnologia per affrontare i cambiamenti climatici. Già, perché nonostante la grave minaccia di catastrofe ecologica annunciata – e che in parte si è già manifestata, e sempre più si manifesta –, con i cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo il mondo, si continua a pensare che la tecnologia (che tali disastri ha prodotto), sarà comunque in grado di affrontarli e risolverli.
La tecnologia può essere efficace nel limitare i danni (quasi sempre da essa stessa prodotti) e aiutarci a trovare delle soluzioni purché si abbia sempre presente che essa, in generale e fino a oggi, provoca spesso altri e più consistenti danni di quelli che risolve. Un esempio “storico” è quello citato nel libro di Rachel Carson, Silent Spring[3], a proposito del DDT, che ha certamente contribuito, nel passato, a liberarci dalle mosche e da altri parassiti, ma che, al tempo stesso, ha provocato il cancro in molti di quelli che lo usavano.
L’esempio del DDT mi è venuto alla mente leggendo della tecnologia detta CCS (Carbon Capture and Sequestration), ovvero di cattura e sequestro del carbonio proposta su larga scala per combattere il riscaldamento globale. L’idea è semplice, afferma Federico Butera[4], basta catturare la CO2 emessa dai camini in atmosfera e seppellirla sotto la crosta terrestre. In questo modo si potrebbe continuare a utilizzare i fossili come combustibili senza il rischio di alterare la fascia protettiva di CO2 (da cui l’effetto serra) che regola la temperatura del pianeta. È proprio così semplice?
A sentire Butera la cosa non lo è affatto, e per diversi motivi. Il primo è che bisogna separare la CO2 prodotta dall’azoto, da altri componenti e dal particolato. L’operazione non è gratis e richiede una notevole energia. Il secondo è che occorre ancora energia per pompare la CO2 sotto la crosta. Il terzo è che alla fine del processo di seppellimento solo una parte delle emissioni in atmosfera si ridurrebbero (dal 63 all’82%, valore stimato).
C’è poi il problema della sicurezza; chi ci garantisce che magari, a seguito di eventuali futuri terremoti, la CO2 seppellita non fuoriesca in atmosfera dalla crosta terrestre, in un solo giorno, aggravando pericolosamente la stabilità dell’effetto serra?
Eppure di questa tecnica si parla tanto e spesso. Ma a farlo sono soprattutto le compagnie Oil&Gas, che continuerebbero, attraverso questa tecnologia, a estrarre e a vendere idrocarburi. Ora queste ultime sono proprie quelle che hanno contribuito, con l’estrazione di fossili, ad alterare il clima e a mettere a repentaglio la stabilità della biosfera. Esse, inoltre, con la tecnica della CCS sarebbe autorizzate a continuare il prelievo di fossili come in passato.
C’è da aggiungere che, in ogni caso, la tecnologia CCS non va nella direzione di chiudere i cicli[5]. Con essa continueremmo a perpetrare il modello lineare, dalla miniera alla discarica (prelievo, produzione, scarto), ovvero allontanandoci da quello che è il ciclo naturale degli ecosistemi.
Ancora. Si parla di una nuova civiltà all’idrogeno. Anche qui si nascondono delle insidie. L’idrogeno, come l’energia elettrica non esiste in natura, essi (energia elettrica e idrogeno) sono vettori di energia, ovvero la trasportano da un punto all’altro. L’idrogeno ha il vantaggio di chiudere i cicli, poiché si parte dall’acqua e si ritorna all’acqua. Lo svantaggio è che da qualche parte bisogna pur produrlo e con che cosa dunque? Se lo produciamo con i fossili siamo punto e daccapo. “Un esempio sono investimenti in costosissimi e inutili treni a idrogeno prodotto da fonti fossili, in manutenzioni autostradali che dovrebbero pagarsi con le concessioni, dall’insieme degli interventi che Eni vuole farsi pagare con le risorse europee”[6] .
L’elenco dei rimedi tramite la tecnologia è lungo. C’è, ancora, il problema della auto elettriche tanto sbandierato dalle case costruttrici. Anche qui si nasconde un inganno.
A parte il fatto che il mercato mondiale non è ancora pronto a recepire grossi volumi di veicoli elettrici al cento per cento, resta il fatto che il problema è tutto nell’approvvigionamento energetico e nella realizzazione delle batterie (prodotte soprattutto in Asia). Con che cosa produciamo l’energia elettrica necessaria per il funzionamento delle batterie? Per queste ultime c’è il problema che necessitano di metalli preziosi presenti soprattutto in Africa. Ancora una volta, dunque, torna in soccorso la frase di Bateson: in ecologia non ci sono scorciatoie.
[1] D. de Masi, “Il Fatto” del 29.01.2021.
[2] E. Zanchini, Risanamento del territorio e larghe consultazioni, “il manifesto” del 27.01.2021.
[3] R. Carson, biologa marina (1907, 1964) pubblicò il libro Primavera silenziosa nel 1962, in italiano edito da Feltrinelli. Dopo la sua pubblicazione il DDT è stato vietato e si sono presi una serie di conseguenti provvedimenti legislativi in materia di tutela ambientale.
[4] Federico M. Butera, Sotterriamo l’idea di sotterrare la CO2, “il manifesto” del 28.01.2021.
[5] Vedi in proposito B. Commoner, biologo marino (1917-2012), Il cerchio da chiudere, Milano, Garzanti, 1967.