Palestina e dintorni. Il caso Varoufakis
Passato in tono minore, se non del tutto inosservato, sui media nostrani, sempre più isolazionisti e autoreferenziali, l’affaire Varoufakis ha invece suscitato una vasta eco in Germania. Il politico greco avrebbe dovuto parlare al Congresso sulla Palestina di Berlino, previsto per venerdì 12 aprile scorso. La polizia ha però interrotto l’evento due ore dopo il suo inizio, chiudendolo con la forza. Agli oltre duecento partecipanti è stato chiesto di abbandonare la sala in tutta fretta. Il giorno dopo, sabato 13 aprile, durante una manifestazione di protesta contro l’azione della polizia che aveva cancellato il convegno, un alto ufficiale ha reso noto che era stato emessa una misura di restrizione delle libertà politiche, un Betätigungsverbot contro Yanis Varoufakis, e contro altri due degli oratori principali che sarebbero dovuti intervenire al Congresso sulla Palestina.
Il Betätigungsverbot è il divieto di entrare in Germania, ma anche di partecipare a conferenze via video-link o con messaggi registrati, e più in generale di svolgere attività politica. Lo stesso ufficiale di polizia ha infatti specificato che se uno qualsiasi dei tre soggetti colpiti dal provvedimento avesse tenuto un discorso, fisicamente o per via elettronica, le forze dell’ordine avrebbero dovuto sciogliere la manifestazione con la forza. Varoufakis ha in seguito comunicato sulla piattaforma X che gli era stato vietato di parlare con i partecipanti via Zoom. E ha poi postato, sulla stessa piattaforma, un videomessaggio che riassumeva quanto avrebbe dovuto dire a Berlino.
Sull’attuale violenza politica in Messico
Abbiamo già osservato (qui) come l’elefante nella stanza del dibattito delle elezioni presidenziali messicane sia quello della violenza politica, che sta attraversando il Paese. La candidata favorita, Claudia Sheinbaum, ha iniziato il primo dibattito elettorale (il 7 aprile scorso) con un ringraziamento al corpo diplomatico messicano per il suo coraggio di fronte alla recente irruzione delle forze di polizia nell’ambasciata in Ecuador, dove si era rifugiato un ex dirigente ecuadoregno colpito dalla giustizia: un episodio che ha comprensibilmente creato un allarme internazionale. Tuttavia, alcuni giorni prima dell’atteso dibattito, il sindaco di Churumuco, Guillermo Torres Rojas, e Gisela Gaytan, candidata sindaca a Celaya, entrambi esponenti di Morena, lo stesso partito della Sheinbaum, erano stati ammazzati. Non una parola su questo. Perché? Una possibile risposta sta nel fatto che la disuguaglianza sociale, la discriminazione delle comunità indigene e l’uso indiscriminato della forza di Stato – con annessa impunità per polizie, militari, e gruppi paramilitari – hanno pian piano “svalutato” il valore della vita in Messico. Si uccide per togliere di mezzo avversari politici, per risolvere contenziosi su campi e proprietà, per rubare pochi pesos o per vendicarsi di qualche sgarro.
La crisi di Cuba ha radici profonde
Annunciato nello scorso dicembre all’Assemblea nazionale, il cosiddetto Piano di stabilizzazione macroeconomica di Cuba si è caratterizzato come uno dei più grandi piani di aggiustamento economico degli ultimi decenni, includendo aumenti dei prezzi dell’energia, del gas, dell’acqua, del carburante e la cessazione del sussidio alimentare universale.Le riforme del governo prevedono l’aumento di più del 500% del prezzo del carburante, quello delle tariffe dei servizi di base, dei biglietti per i trasporti a lunga percorrenza, e l’eliminazione della libreta, il paniere alimentare di base. Le riforme sono calate nella peggiore recessione economica che l’isola vive da molti anni a questa parte, con un 2023 che ha visto la contrazione del Pil del 2%, l’inflazione al 30% su base annua, e la svalutazione del peso. Il dollaro è passato alla cifra record di 314 pesos e l’euro a 320, mentre, nel mercato parallelo, unico accesso di valuta estera per i cubani, entrambe le divise sono salite di quattro e di cinque pesos. Gli ultimi interventi, nell’isola conosciuti come il paquetazo económico, testimoniano che le riforme attuate negli anni passati non sono riuscite a superare i limiti di un modello sempre più impraticabile.
Fenomenologia della tortura: “Pinter Party” di Lino Musella
Cosa si può chiedere a se stessi per non partecipare al festino delle merci culturali consumate come se niente fosse? Fino a dove si può spingere la ricerca della verità? E questa ricerca si può mostrare su un palcoscenico? Come dire quello che si deve dire senza fare un sermone? Sono le domande che agiscono sottotraccia in Pinter Party, lo spettacolo diretto da Lino Musella (prodotto dal Teatro Stabile di Napoli), che ha appena debuttato in prima nazionale al San Ferdinando: in un unico vortice scenico, scorrono davanti ai nostri occhi tre brevi atti unici, scritti da Harold Pinter tra il 1984 e il 1991, Il bicchiere della staffa, Il linguaggio della montagna e Party Time, testi in cui i torturatori si presentano con l’abito bianco e la risata sguaiata, tagliando la lingua delle vittime con la stessa disinvoltura con cui bevono un cocktail.