Primati italiani. Tra diseguaglianze e bassi salari
Il rischio più grande è l’assuefazione, quel fenomeno che secondo i medici si verifica nell’organismo per effetto della somministrazione continua di un farmaco per cui viene a diminuire o annullarsi la sua efficacia. Qui invece utilizziamo il termine come abitudine, mancanza di sorpresa e soprattutto rassegnazione. Le cose vanno così, che possiamo farci? È questa la prima reazione alla pubblicazione degli ultimi dati Istat sui salari e i redditi degli italiani, che non ci sorprendono più, ma sono pesantissimi.
Nel 2024 il 23,1% della popolazione è risultato a rischio di povertà o esclusione sociale, con un aumento del 22,8% rispetto all’anno precedente. Che cosa vogliono dire queste cifre? La risposta è semplice: tutte le persone di cui si parla, gli uomini e le donne che vengono rappresentati come percentuali statistiche, si trovano o a rischio di povertà, o già in grave deprivazione materiale e sociale, oppure sono lavoratrici e lavoratori poveri, ovvero – come dicono gli esperti – “soggetti a bassa intensità di lavoro”. Il rapporto dell’Istituto centrale di statistica, che non sembra concedere nulla alle pressioni propagandistiche del governo Meloni, rivela anche un altro dato molto importante su cui i politici (soprattutto quelli che si dichiarano di sinistra) dovrebbero cominciare a riflettere seriamente: nel corso del 2023 (ultimi dati disponibili), il reddito annuale medio delle famiglie (37.511 euro) è aumentato in termini nominali (+4,2%), ma si è ridotto in termini reali (-1,6%). La differenza tra la propaganda e la realtà è evidente anche dalle fredde statistiche.
Strategie di crisi e kit di sopravvivenza
A enfatizzare la sensazione di trovarsi sull’orlo di un burrone geopolitico e climatico, è arrivata la “Strategia dell’Unione europea in materia di preparazione per prevenire e reagire alle minacce e alle crisi emergenti”, presentata il 26 marzo a Bruxelles. Si tratta di una risposta a eventi che hanno caratterizzato gli ultimi anni, come la pandemia, i devastanti incendi in diverse regioni di Europa e l’invasione russa dell’Ucraina, che hanno dimostrato quanto sia fondamentale una reazione tempestiva e ben coordinata per minimizzare i danni e salvare vite umane. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha sottolineato che l’Unione dovrà fare affidamento su una serie di misure di prevenzione e allarme: “Le nuove sfide richiedono un livello di preparazione senza precedenti. Abbiamo bisogno degli strumenti giusti per agire anticipatamente e reagire rapidamente quando si verificano disastri. Gli Stati membri, i nostri cittadini e le imprese devono poter contare su sistemi di allerta precoce e piani di azione ben definiti per rispondere a emergenze di varia natura”.
Algeria, cinque anni di prigione a Sansal
Lo scrittore franco-algerino Boualem Sansal è stato condannato il 27 marzo, in primo grado, dal tribunale di Dar El Beida (comune della regione di Algeri), a cinque anni di prigione e a mezzo milione di dinari (3.463 euro) di ammenda. Si tratta di una pena che dimezza quanto richiesto dall’accusa al termine di un processo che si è svolto senza avvocati: quello francese non ha ricevuto il visto dalle autorità algerine, quello d’ufficio è stato rifiutato dallo scrittore. Sansal era stato arrestato il 16 novembre scorso (vedi qui), al suo rientro, all’aeroporto di Algeri, e per diverso tempo non era stato possibile avere notizie sulla sua detenzione né sulle motivazioni. Solo all’inizio dell’anno è stata formulata l’accusa di attentato alla sicurezza dello Stato, all’integrità territoriale e alla stabilità delle istituzioni. Più recentemente si è aggiunta l’imputazione di intelligenza con interessi stranieri a seguito di un incontro che lo scrittore aveva avuto con un ex ambasciatore francese in Algeria, poco prima del suo rientro nella patria di origine.
In Israele il malcontento per la ripresa della guerra
“In America e in Israele, quando un forte leader di destra vince un’elezione, il deep State di sinistra arma il sistema giudiziario per contrastare la volontà del popolo”. È la seconda volta in meno di un mese che il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, usa l’espressione “Stato profondo”. Lo fa principalmente per scagliarsi contro il sistema giudiziario, giudicato “di sinistra” quando indaga sulla sua condotta e su quella dei suoi assistenti. Per Bibi anche i mezzi di comunicazione, in realtà per la stragrande maggioranza molto poco critici nei confronti del suo governo, farebbero parte di questo piano messo in atto per spodestarlo.


